La scelta della “parte migliore” tra desiderio di genitorialità e fecondazione artificiale

Articolo della professoressa Giorgia Brambilla, scaricabile interamente cliccando qui.

La professoressa Brambilla è bioeticista, con specializzazione in morale sessuale e familiare, ostetrica. Inoltre è Docente Ordinario presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Il presente contributo è pubblicato in G.J.Woodall, La via, la verità e la vita, IF Press, pp.145-156.

Se ne offrono alcuni stralci: 

«Quando attuano le tecniche di fecondazione artificiale, gli specialisti non trattano una malattia, ma un desiderio, il desiderio del figlio. E i medici dovrebbero per primi esserne consapevoli e tenere conto dell’elemento più trascurato nell’ambito della fecondazione artificiale: la realtà del figlio come terzo soggetto. «Una terapia che voglia far fronte a questa responsabilità non può quindi limitarsi a trattare il bambino come semplice oggetto dei desiderata genitoriali o di metodi di fecondazione. La meta di ogni riproduzione assistita è un oggetto d’indole peculiare, un oggetto che è al contempo un soggetto, un soggetto cui spetta la dignità di uomo».

«Nel contesto che stiamo trattando, quello del desiderio del figlio alla luce di una apparente o reale sterilità degli sposi, spesso si riscontra nell’ambito del “counselling” non solo la comprensibile frustrazione legata all’irraggiungibilità di ciò che si vuole ottenere ma il tentativo spasmodico di colmare un vuoto. Non si comprende che non è questa la disposizione interiore “sana” e adatta ad accogliere un figlio che, propriamente, non si mette al mondo perché “va di averlo”, ma perché con generosità, sacrificio e dedizione si decide di accogliere qualcuno e lo si fa essere per se stesso: ciò che distingue la procreazione umana dalla riproduzione animale. L’accoglienza di una nuova vita ha, in altre parole, un movimento inverso: è svuotamento di sé per fare spazio all’altro, non usa l’altro per saziare un desiderio, intrinseco alla nostra umanità e pertanto incolmabile. Tant’è che tale desiderio non sarà colmato dalla “soluzione”, dalla nascita del figlio. Se non gestito e appagato nel modo giusto invece di amare e dunque donare se stessi si relazionerà agli altri fagocitandoli: fenomeno noto e visibile non solo nell’ambito della genitorialità (il figlio che soddisfa all’infinito le aspirazioni o l’affettività immatura o le ferite dei genitori), ma in generale in tutte le relazioni umane dove il sentimento (l’amor come passio) non riesce mai a tramutarsi in amor benevolentiae, «che non cerca il proprio interesse», scrive Paolo nella prima lettera ai Corinzi, letteralmente “le sue cose”».

«Dire a una coppia, che dopo numerosi tentativi, analisi, indagini si rende conto di non riuscire a procreare e che, su consiglio medico, vorrebbe intraprendere la strada della fecondazione artificiale, che questa strada non costituisce un bene può essere complicato. La figura di Susanna ci ricorda però che: «l’osservanza della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima: non è mai però impossibile» e che nostro compito è fare in modo che lo splendore della verità morale non sia offuscato nel costume e nella mentalità delle persone e della società fino alla crisi più pericolosa che può affliggere l’uomo: la confusione tra cosa è bene e cosa è male»