Fecondazione artificiale: desiderare un figlio tra le possibilità della "tecnica" e quelle del "mercato"

 

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La professoressa è bioeticista, con specializzazione in morale sessuale e familiare, ostetrica. Inoltre è Docente Ordinario presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.


Il contributo da cui sono tratti i seguenti frammenti e che è scaricabile interamente dal link sopra, è pubblicato in G.Brambilla (ed.), Riscoprire la Bioetica. Capire, formarsi, insegnare, Rubbettino, 2020.


«Proviamo a riflettere, infatti, dal punto di vista bioetico, su quello che è successo da quando la Genetica ha fatto capolino nell’ambito della riproduzione. Dalla germinal choice di Hermann Muller all’ingegneria genetica, la prospettiva, infatti, è quella di ottenere il miglior risultato possibile. Lo stesso counselling genetico si è imposto nel panorama procreativo, non solo come un servizio per informare la coppia circa le possibili malattie genetiche trasmissibili ai figli, ma come “bussola” per discernere l’opportunità o meno di dare alla luce dei figli».


«Il „tecnicamente possibile“ muta il nostro approccio alla realtà generando bisogni, insoddisfazione e dunque nuovi bisogni. È qui che avviene il passaggio da ciò che posso a ciò che devo. In tal senso, richiedere la diagnosi prenatale o, quando sarà possibile, la manipolazione genetica in senso migliorativo, non rientra in un percorso clinico particolare percorribile in alcuni e ben determinati casi, ma è la routine. E questo non tanto o non solo in virtù di una certa valutazione etica della pratica stessa che per alcuni può essere condivisibile e per altri no, ma perché in termini culturali il figlio è un bene „prezioso“ che si decide di far rientrare nella propria vita in un dato momento e non in un altro, che va ad incastrarsi all‘interno di una vita che scorre e che corre, pianificata secondo un progetto che non prevede errori, anche perché non si avrebbe il tempo per risolverli. All‘interno di un quadro come questo, si ritiene fuori di dubbio l‘evitamento della nascita di figli cromosomicamente difettosi e si accarezza l‘idea di un figlio che sia in grado di sostenere stress psico-fisici da prestazione sempre più elevati. E questo non sempre perché si è cattivi o, fatto un ragionamento ed elaborato un giudizio, perché lo si considera eticamente lecito, ma il più delle volte perché si è ingranaggi di questo sistema: in pratica, se non c‘è una forte presa di coscienza, un risveglio della responsabilità e dunque una riappropriazione della libertà autentica, è inevitabile scivolare in questa mentalità funzionalista ed efficientista che porta ciascuno a considerare le proprie ragioni nella ricerca di un figlio sano – e in alcuni casi perfetto – se non plausibili perlomeno sufficienti».