EDITORIALE DELLO SPECIALE
L’istituto
del matrimonio, così come valorizzato e difeso dalla nostra costituzione e
regolamentato in diritti e doveri dei coniugi dal codice civile è ormai
compromesso da una visione diffusa nei paesi occidentali che lo sta tristemente
trasformando in un contratto, ancora di rilevanza pubblica, ma di fatto privatistico
e assurdamente fondato sull’amore (sic), eliminando dunque a priori la sua ratio fondamentale che è quella di
garantire alla società la crescita, l’educazione e il mantenimento delle nuove generazioni.
Inevitabilmente,
secondo alcuni, il matrimonio Gay diventerà realtà anche nel nostro paese,
seppur camuffato, per adesso, dall'artificio linguistico di chiamarlo "unione civile".
Si
può ritenere, inoltre, che l’accesso al matrimonio fra persone dello stesso
sesso porterà inevitabilmente, se non grazie al legislatore per via giudiziaria,
attraverso la Corte costituzionale, anche all’apertura alle adozioni da parte
delle coppie omosessuali, in nome della parità di diritti.
Oggi
il disegno di legge Cirinnà, che al momento è in discussione in commissione
Giustizia del Senato, esclude l'accesso all’adozione da parte dei conviventi,
ma all’articolo 5 introduce la cosiddetta "Stepchild Adoption", che consentirebbe al convivente di adottare
il figlio biologico dell’altro/a convivente unito in unione civile.
Tale
articolo è estremamente pericoloso, in quanto di fatto comporta la
legittimazione della pratica dell’utero in affitto in Italia, attualmente
vietata dalla Legge 40, e rappresenta il vero punto di rottura culturale e
politica, nonostante i sostenitori della legge si ostinino a trovare alibi o a
sminuire la sua portata.
Infatti,
se la legge venisse approvata, coloro che si recano all’estero a praticare la
maternità surrogata e rientrano in Italia con un figlio riconosciuto come proprio
(biologico o meno, non importa), potrebbero legittimamente farlo adottare
dall’altro partner e ottenerne la potestà (oggi chiamata responsabilità
genitoriale, dopo la riforma della filiazione) da parte della coppia.
La
pratica della maternità surrogata, non può essere nascosto, è un’ignobile
compravendita di bambini, che vengono trattati come merce e privati della loro
umanità, negando loro il diritto di stare nei primi fondamentali anni di vita
con la madre che li ha portati in grembo e partoriti.
Genera
inoltre un traffico di affari, nei paesi dove è permessa, stimabile in diversi
miliardi di euro l’anno ed è un business che sta cercando prepotentemente di
prendere piede nel nostro paese, grazie anche a una campagna pubblicitaria,
nemmeno troppo sommersa, che parandosi dietro l’alibi del rispetto verso le
persone omosessuali e dell’amore che vince sopra ogni cosa, instilla nella
mente della gente comune un senso di accettazione silente e crescente di questa
pratica.
Questo
speciale, frutto del lavoro di ricerca di persone comuni, alcune delle quali
specialiste in questioni giuridiche, vuole approfondire il tema della maternità
surrogata sotto diversi punti di vista.
Si
vuole infatti far luce sulle molteplici violazioni dei diritti umani e
dell’infanzia, che la surrogazione perpetua continuamente e di cui le istituzioni
garanti sono ignobilmente complici.
Si
è cercato poi di far luce sulle normative dei paesi dove la surrogazione è
permessa e sul traffico di soldi che c’è in gioco.
Si
è affrontato il tema della "ovodonazione"
e delle conseguenze psicofisiche che subiscono le donne che si sottopongono a
tale trattamento.
Si
è inoltre approfondito il tema della complementarità maschile/femminile di cui
un bambino ha bisogno nei primi anni della propria vita e dei danni che subisce
se essa gli viene privata con violenza.
Tutto
ciò nel momento in cui è appena uscita un’inedita testimonianza, su un recente tentativo
di pubblicizzare la pratica della surrogazione in Italia da parte di una
clinica privata, con i consigli su come procedere e lo svelamento delle
motivazioni che spingono le persone a intraprendere questo cammino.
La
consapevolezza necessaria per opporsi con tutte le nostre forze, affinché la
pratica della surrogazione venga abolita, passa dalla conoscenza dei suoi
risvolti etici, economici e giuridici. Questo numero speciale vuole fare
chiarezza e fornire le informazioni ai lettori su tutti questi aspetti in una
sola volta.
La maternità
surrogata: definizione, quadro giurisprudenziale, dottrinale e normativo in
Italia. Riflessioni critiche.
Difficile,
se non impossibile, affrontare dal punto di vista giuridico il fenomeno della "maternità
surrogata" o "utero in affitto" senza tecnicismi, perché, pur
riducendoli al minimo, esso vede due soggetti titolari di situazioni o diritti
individuali potenzialmente confliggenti: da una parte il diritto di procreare e
dall’altra i diritti del nascituro (di conoscere le proprie origini, di essere
allevato nella famiglia iure sanguinis,
di avere un padre e una madre). E allora, come uno studente di giurisprudenza
del primo anno dovrebbe sapere, quando all’ordinamento giuridico si chiede la
tutela di una nuova situazione che corrisponde ad un certo interesse diffuso a
livello sociale (il nostro secolo registra il boom dei diritti individuali), è necessario preliminarmente
verificare se il suo riconoscimento e la sua tutela si pongono in conflitto con
diritti e interessi di altri individui, attraverso il contemperamento degli
aspetti confliggenti.
Il
lettore attento, quindi, apprezzerà (spero) i tecnicismi, perché lo aiuteranno
ad entrare nel cuore di un fenomeno che non può ridursi al riconoscimento
incondizionato di meri desideri (per quanto spesso mossi da nobili ragioni),
essendo necessario scendere nel profondo, specie se, dall’altra parte, il
soggetto da tutelare è il nascituro, che voce propria non ha e si aspetta di
esser difeso, in primo luogo, dai propri genitori.
Sulla
base della letteratura giuridica esistente e grazie a una definizione che ha il
merito di metterne in luce il carattere negoziale, la maternità surrogata si
realizza attraverso un accordo fra tre o più parti, in forza del quale una
donna (definita "madre surrogante" perché si sostituisce alla donna
infertile), per soddisfare esigenze di maternità e di paternità altrui, dietro
corrispettivo o a titolo gratuito, contrattualmente noleggia - con il consenso
del marito, se sposata - il proprio utero ad una coppia di coniugi
impossibilitata ad avere figli per sterilità della partner (madre sociale
committente), impegnandosi a farsi fecondare artificialmente con il seme del
marito di quest’ultima (padre biologico committente), a condurre a termine la
gravidanza nel rispetto di determinate norme di comportamento ed a consegnare
alla coppia committente (genitori intenzionali) il figlio così concepito,
rinunciando ad ogni diritto su di esso.
E’,
poi, necessario distinguere tra maternità surrogata vera e propria (il nato ha
un legame biologico con l’uomo della coppia e la madre surrogante) e la "locazione
d’utero" o "utero in affitto" o "maternità surrogata
gestazionale" in cui l’embrione è fecondato all’esterno dell’organismo
della donna surrogante - tramite ovulo fornito dalla madre committente o da una
"donatrice" anonima - e
successivamente trasferito nel suo utero, insomma una sorta di incubatrice
umana.
Dopo
questa precisazione, appare evidente che la pratica, inizialmente concepita
quale accordo fra tre soggetti per superare problematiche legate alla sterilità
femminile della donna, ha visto il moltiplicarsi di coloro che partecipano al
processo procreativo, in quanto nulla esclude che la fecondazione coinvolga
soggetti estranei sia alla coppia committente sia alla madre surrogante,
attraverso l’intervento dei "donatori"
di materiale procreativo (seme e ovuli) e l’accesso non solo a coppie
eterosessuali, ma a coppie omosessuali e a uomini e donne (singoli) che non
intendono intraprendere una relazione sentimentale.
Ecco
come rovesciando il noto brocardo, secondo il quale mater semper certa est, non possiamo più essere sicuri di quante
figure genitoriali entrino in gioco all’interno del processo procreativo con
grave compromissione di alcuni diritti fondamentali del nascituro.
Oggi,
in Italia, la legge n. 40/2004, "Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita", vieta espressamente la pratica surrogativa
(articolo 12 commi 1 e 2) e qualsiasi realizzazione, organizzazione o
pubblicizzazione di tale pratica (comma 6). Esiste, quindi, una linea di
continuità giuridica tra l’attuale legislazione e l’orientamento
giurisprudenziale precedentemente formatosi, continuità che trova la propria
sede esattamente nell’insieme dei valori assunti a fondamento dell’ordinamento.
Il
primo caso di maternità surrogata in Italia fu deciso dal Tribunale di Monza
nel 1989: una coppia di coniugi senza figli concluse un contratto con
un’immigrata algerina, in forza del quale quest’ultima s’impegnava, dietro
corrispettivo, a sottoporsi ad inseminazione artificiale con il seme del
coniuge, a portare avanti la gravidanza ed a consegnare allo stesso e alla
moglie il nascituro, rinunziando a qualunque diritto nei suoi confronti.
Successivamente pentitasi, la madre surrogata si rifiutò di adempiere gli
impegni assunti e i coniugi si rivolsero al tribunale per ottenere la richiesta
di riconoscimento della minore quale «figlia naturale» del padre biologico (e
committente) e l’affidamento in via definitiva ad entrambi.
I
giudici decisero che si poteva e si può concedere il riconoscimento del minore
come figlio naturale del padre (ovviamente, solo se egli è anche il padre
biologico del nascituro), che ne può chiedere, tramite provvedimento da parte
del giudice, l’inserimento nella propria famiglia legittima. Il nato sarà poi
figlio naturale della madre surrogante, per l’insuperabilità del disposto di
cui all’articolo 269 codice civile ("La maternità è dimostrata provando la identità di
colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la
quale si assume essere madre").
La
sentenza affronta per la prima volta l’ammissibilità nel nostro ordinamento del
contratto di maternità surrogata ed è di particolare interesse perché enuncia
quali sono gli ostacoli, legislativi e di ordine costituzionale, che
impediscono il riconoscimento del contratto di gestazione per conto terzi quale
«contratto atipico» ex articolo 1322
del codice civile (cioè non espressamente previsto dalla legge, ma diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l'ordinamento giuridico), ostacoli così sintetizzabili.
Innanzitutto, nessuna analogia sussiste tra la maternità
surrogata e l’istituto dell’adozione, in quanto sul punto, già la
sentenza n. 11 del 10/02/1981 della Corte Costituzionale, ha chiarito che "la riforma del 1967 ha spostato il centro di
gravità dell'adozione dall'interesse dell'adottante (di sopperire alla
propria incapacità procreativa ed assicurarsi una discendenza anche a fini
ereditari, n.d.r.) a quello dell'adottato
(……), interesse del minore ad essere
allevato ed educato in condizioni più vantaggiose, (….) ciò in quanto gli
articoli 2 e 30 della Costituzione, che riconoscono come fine preminente lo
svolgimento della personalità e l’educazione del minore nel luogo a ciò più
idoneo, individuano tale sede "in
primissima istanza nella famiglia di origine, e, soltanto in caso di incapacità
di questa, in una famiglia sostitutiva".
La
maternità surrogata, quindi non è una modalità (ulteriore rispetto
all’adozione) per ottemperare al legittimo desiderio procreativo di una coppia
priva di figli, per l’evidente ragione che l’adozione presuppone l’esistenza in
vita del minore adottabile e il suo bisogno di tutela - e, quindi, non
prioritariamente il desiderio della coppia sterile - mentre la maternità
surrogata inverte tale ordine di interessi (cioè vede prevalere l’interesse
alla procreazione della coppia su quello del minore).
In
secondo luogo, la Costituzione non riconosce un «vero e proprio diritto alla
procreazione», quale presupposto per l’ammissibilità di tali contratti: nel
nostro ordinamento non trova spazio il concetto di paternità o di maternità
meramente negoziali, disgiunte, cioè, da un qualche fondamento biologico e
governate dall’autonomia privata, tali da cancellare dal mondo giuridico i
legami naturali.
Tuttavia,
come ha fatto notare autorevole dottrina (Cian – Trabucchi, Commentario breve
al codice civile - 2003) "Poiché il
diritto di procreare è un diritto fondamentale dell’individuo soggetto al
contemperamento con altri diritti fondamentali della persona (quali sono i
diritti del nascituro e del minore), nel caso della procreazione artificiale
esso deve trovare contemperamento con il diritto del nascituro ad avere due
genitori e ad essere istruito, mantenuto ed educato da entrambi i genitori; per
tale ragione, solo le coppie eterosessuali, legalmente coniugate o stabilmente
conviventi costituiscono soggetti legittimati alla procreazione medicalmente
assistita".
Altro
ostacolo insormontabile è costituito proprio dal riconoscimento dello status di madre esclusivamente per colei
che partorisce il minore (artt. 232 e 269 c.c.), sul presupposto di un’evidenza
naturale che rende superflua qualsiasi necessità di spiegazione.
Uno
degli argomenti certamente a sostegno dell’inammissibilità del contratto di
maternità surrogata è l’indisponibilità del bene oggetto di accordo ex articolo 5 codice civile ("Gli atti
di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione
permanente della integrità fisica, o quando siano
altrimenti contrari alla legge, all'ordine
pubblico o al buon
costume"). La contrarietà del contratto di maternità
surrogata all’ordinamento giuridico si evince dal fatto che l’atto dispositivo
del proprio corpo è comunque contrario alla legge (in quanto realizza una
transazione prima non contemplata dalla legislazione, oggi vietata, operando in
frode della stessa ed aggirando anche altre leggi, come quella sull’adozione),
all’ordine pubblico (con il quale mal si accorda) ed, almeno in caso di
onerosità, anche al buon costume, secondo il quale, infatti, un atto di
maternità surrogata potrebbe eventualmente realizzarsi soltanto a titolo
gratuito (in base ad un movente altruistico) e non dietro un pagamento in
denaro.
Quindi, non
possono formare oggetto di un atto di autonomia privata, perché non sono beni
in senso giuridico, le parti del corpo umano (gameti ed organi della
riproduzione), sulle quali il soggetto non è titolare di un diritto
patrimoniale non potendoli affittare né alienare in quanto l’uso strumentale
può diminuire la loro funzione e perché beni indisponibili). La dottrina
prevalente è fondamentalmente d’accordo nell’escludere che il materiale
riproduttivo possa essere equiparato ad un bene economico, proprio in
considerazione delle peculiarità biologiche legate alla riproduzione di altri
essere viventi: il lettore comprenderà immediatamente la differenza tra donare
un rene e donare il seme o gli ovuli!
Ultima
argomentazione che ostacola la stipulazione di contratti di maternità surrogata
è costituita dall’indisponibilità degli status
personali, quali quello di figlio e quello di madre (chi partorisce non può
spogliarsi del suo status di madre né
modificare quello del figlio), i munera,
come la potestà dei genitori (oggi "responsabilità
genitoriale"), ed i diritti personali dei minori all’educazione ed al
mantenimento nella famiglia iure
sanguinis.
Poco
esplorato dalla dottrina è invece il cosiddetto diritto del nascituro a
conoscere le proprie origini, specie in considerazione del fatto che è
aumentato il numero delle persone coinvolte nel processo procreativo, non
necessariamente tre (donna sterile della coppia eterosessuale più madre
surrogante che è anche madre biologica), grazie all’intervento dei "donatori" di materiale procreativo,
diversi anche dai genitori committenti e dalla madre surrogante. Può inoltre
trattarsi di coppie eterosessuali sposate e non, uomini e donne (eterosessuali
e omosessuali) che non intendono intraprendere relazioni sentimentali, coppie
omosessuali, fino al fenomeno del coinvolgimento di persone addirittura legate
da vincolo di parentela e consanguineità (si pensi alla nonna che partorì il
proprio nipote). L’argomento è stato
affrontato dalla sentenza n. 278 del 2013, con cui la Corte costituzionale
risolve la delicata questione del bilanciamento tra il diritto dell’adottato di
conoscere le proprie origini e il diritto della madre a rimanere anonima.
Ha
stabilito la Corte che «il relativo
bisogno di conoscenza (delle proprie origini, n.d.r.) rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono
condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una
persona in quanto tale». Per superare la rigida contrapposizione tra i due
interessi (della donna che partorisce in anonimato a non essere rintracciata e
del figlio a conoscere l’identità della propria madre biologica), la Corte
introduce la distinzione tra "genitorialità giuridica" e "genitorialità
naturale" e osserva che "una
rinuncia irreversibile alla genitorialità giuridica non può ragionevolmente
implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla genitorialità
naturale".
È
ormai ampiamente sostenuto, da uno dei settori più avanzati della riflessione
femminista, che i problemi etici connessi al tema della nascita non possono
essere affrontati attraverso la contrapposizione fra gli interessi della donna
e quelli (confliggenti) del nascituro. In questa nuova prospettiva, è
fuorviante tentare ad esempio di mostrare che la donna è l’unico individuo che
conta e che il nascituro non è un individuo degno di considerazione.
Se
il diritto di conoscere le proprie origini è ampiamente riconosciuto
nell’ambito di vicende particolarmente dolorose e drammatiche, quale la scelta
di partorire in anonimato pur di non optare per l’interruzione volontaria della
gravidanza, non si comprende perché il predetto diritto dovrebbe essere violato
in caso di maternità surrogata.
L’elenco
dei diritti del nascituro inevitabilmente in conflitto con quelli degli
individui che esercitano il loro, preteso, diritto di procreare non finisce
qui: dal diritto del bambino alla bigenitorialità (negato quando alla maternità
surrogata accedono singoli che non intendono intraprendere relazioni
sentimentali), al diritto del bambino di essere allevato da un padre e da una
madre (negato quando alla maternità surrogata accedono coppie omosessuali).
Sul
punto il dibattito è acceso. Da parte nostra ci limitiamo ad osservare che le
fonti di diritto nazionale ed internazionale (Dichiarazione ONU dei diritti del
fanciullo, legge sull’adozione dei minori, tutela dei figli in caso di
separazione e divorzio, norme del codice civile italiano) riconoscono il
diritto, nella misura del possibile, a conoscere i propri genitori, il diritto
di crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori, il diritto a non
essere separato dalla madre se non per circostanze eccezionali, il diritto a
conservare la propria identità e le relazioni familiari.
In
buona sostanza, il fanciullo ha il prioritario, inalienabile ed assoluto
diritto di essere allevato all’interno della propria famiglia iure sanguinis, che presuppone il
modello eterosessuale madre/padre, cioè coloro che lo hanno generato (salvo
casi di inadeguatezza della famiglia di origine).
Anticipando
l’eventuale (e francamente misera dal punto di vista dialettico e
intellettuale) obiezione secondo la quale esistono bambini orfani di una o di
entrambe le figure genitoriali, così come figli cresciuti da uno dei due
genitori separati o divorziati, si obietta mestamente che da una parte l’esistenza
di situazioni drammatiche e dolorose non possono e non devono essere prese a
modello di riferimento dal legislatore per creane altre e, dall’altra, che
tanto il bambino orfano quanto quello che ha subito la separazione dei propri
genitori sono individui già nati, o già concepiti, al momento della tragedia
che li ha privati di un genitore.
Appare
invece lapalissiano che, nel caso di figli da maternità surrogata, si programma
la nascita di esseri umani ai quali manca uno dei genitori non per incidente,
fatalità, abbandono, ma solo perché da qualche parte, in qualche Stato, il
materiale procreativo è una vera e propria merce di scambio e il cosiddetto
diritto di procreare degli adulti è ritenuto prevalente rispetto al diritto dei
minori di avere un padre e una madre e di conoscere la propria identità (anche)
biologica.
Giovanna Arminio
La
surrogazione di maternità come problema bio-giuridico
La
civiltà contemporanea si trova ad un crocevia, punto di incontro di quattro
dimensioni: da un lato il progresso tecnico; da un altro lato l’idea che il
diritto debba legalizzare le nuove esigenze sociali e le istanze individuali;
da un terzo lato la rivendicazione del cosiddetto "diritto al figlio";
infine, che il bene e il male dipendono dalla pura prospettiva soggettiva.
La
maternità surrogata, più comunemente detta "utero in affitto", da ora
MS, costituisce il frutto più evoluto dell’incontro di tutte le suddette
prospettive.
In
questa sede si prenderanno in considerazione le problematiche biogiuridiche del
presunto diritto al figlio che si rivendica tramite l’accesso alle tecniche di
MS e delle conseguenze che dalle suddette tecniche scaturiscono, soprattutto la
commercializzazione, o meglio, la industrializzazione della procreazione umana.
«Si
parla di un diritto di procreare o di un diritto al figlio; del diritto di
nascere e del diritto di non nascere; del diritto di nascere sano e del diritto
di avere una famiglia composta da due genitori di sesso diverso, del diritto
all'unicità e del diritto ad un patrimonio genetico non manipolato. Andando
avanti ci si imbatte nel diritto a conoscere la propria origine biologica e nel
diritto all'integrità fisica e psichica, nel diritto di sapere e non sapere;
nel diritto alla salute e alla cura, e nel diritto alla malattia o nel diritto
a non essere perfetto, con i quali si vuole sottolineare l'inaccettabilità di
parametri di normalità, l'illegittimità di discriminazioni o di
stigmatizzazione legate alle condizioni fisiche o psichiche »: su "La
Repubblica" del 26 ottobre 2004 Stefano Rodotà così descriveva l’avvento
dei nuovi diritti.
Ciò
che più preme in questa sede è comprendere almeno due di questi nuovi diritti
che sono strettamente implicati con la pratica bio-medica della maternità
surrogata, cioè il cosiddetto "diritto al figlio" da un lato, e
dall’altro il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche.
Occorre,
dunque, distinguere l’imponderabilità del diritto al figlio da un lato e la
necessità della tutela del diritto alla conoscenza delle proprie origini
biologiche dall’altro.
Per
quanto riguarda la configurabilità del diritto al figlio, se essa fosse davvero
possibile, significherebbe introdurre delle gravissime distorsioni nel tessuto
del diritto per almeno due ordini di ragioni.
In
primo luogo: ritenere esistente un tale diritto dovrebbe comportare
l’individuazione o l’individuabilità dei soggetti nei cui confronti un tale
diritto possa essere fatto valere: il coniuge, la società, lo Stato? Verso chi
si dovrebbe reclamare un tale diritto? E con quali mezzi? Anche coercitivi?
In
secondo luogo: se tale diritto fosse davvero ipotizzabile, il suo contenuto,
ovvero il suo oggetto, sarebbe il figlio stesso, violandone lo status giuridico
di soggetto di diritto, in quanto persona, e non di oggetto di diritti.
Proprio
la rivendicazione del diritto al figlio, comportando la lesione della dignità
del figlio medesimo, considerato quale oggetto invece che soggetto di diritto,
implicherebbe quindi l’automatica ed inderogabile violazione dei diritti del
figlio.
Per
quanto riguarda il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche,
occorre fin da subito precisare che esso si può configurare solo in quanto le
procedure di procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata implichino
uno scudo in questo senso.
Si
pensi, del resto, alle numerose associazioni dei cosiddetti "figli della
provetta" che si stanno costituendo ovunque nel mondo per la conoscenza
delle proprie "radici" come, tra le decine di esempi possibili,
insegna il caso di Stephanie Raeymaekers.
Sul
punto è opportuno distinguere la segretezza dall’anonimato. La segretezza
riguarda l'occultamento delle tecniche utilizzate per la fecondazione, mentre
l’anonimato consiste nel celare l’identità di coloro che hanno preso parte al
processo di generazione del nuovo nato (per esempio i "donatori"/venditori di gameti, la
madre surrogante ecc.).
Posta
una tale differenza, il diritto alla conoscenza delle proprie origini
biologiche è sicuramente esperibile per superare l’anonimato, ma più
problematico in riferimento alla dimensione della segretezza, date le
ripercussioni che si possono registrare nell’ambito delle relazioni familiari;
è tuttavia necessario ammettere che, da un punto di vista logico, scavalcare
l’anonimato presuppone necessariamente abbattere anche il muro della
segretezza.
Su
questo delicato problema, afferente alla procreazione medicalmente assistita ed
alla maternità surrogata, ha avuto modo di esprimersi il Comitato Nazionale per
la Bioetica con un parere del 25 novembre 2011 intitolato, appunto, "Conoscere
le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita
eterologa".
In
questa sede il CNB evidenzia quanto segue: «Occorre notare che eludere la
richiesta di conoscere la verità implica una specifica forma di violenza: la
violenza di chi, conoscendo la verità che concerne un’altra persona e potendo
comunicargliela, si rifiuta di farlo, mantenendo nei suoi confronti un’indebita
posizione di potere. Ulteriore rilievo ha questa argomentazione quando questo
soggetto sia lo Stato: si deve ricordare il tema, individuato da Kant, del
principio supremo del diritto pubblico, che non può che essere quello della
pubblicità, dell’abolizione degli arcana
imperii in qualsiasi forma. Lo Stato non ha il diritto e non dovrebbe mai
avere il potere di precludere l’accesso alla verità non solo ai propri
cittadini, ma a qualsiasi essere umano, in particolare quando questa verità ha
per oggetto l’identità personale».
Infine,
una considerazione deve essere effettuata anche circa il problema dello status
giuridico del nato, cioè della sua relazione giuridica con chi lo ha generato.
Si
possono scegliere in questo caso due vie: la strada del favor legis, cioè rimettere alla legge la decisione di chi debba
essere considerato genitore, indipendentemente da eventuali legami affettivi,
biologici, genetici con il figlio; oppure la strada del favor veritatis, cioè seguire i criteri biologici per la
determinazione dei rapporti giuridici tra il generato e i genitori.
La
distinzione può essere più netta nel caso del "donatore" di sperma, ma diventa più sottile e di difficoltoso
chiarimento nel caso della maternità surrogata, visto il legame comunque
biologico, sebbene non necessariamente genetico, che lega la madre surrogante e
il feto per i lunghi mesi della gravidanza.
Se
il criterio del favor legis appare
con tutta evidenza arbitrario, lasciando propendere la coscienza di chi si
interroga sul punto per il favor
veritatis, sembra quanto mai opportuno considerare che anche il criterio
del favor veritatis diventa
arbitrario ove si considerasse soltanto la madre gestante e non anche quella
genetica.
Esplode,
insomma, in tutta la sua tragicità la contraddittorietà etica e giuridica della
maternità surrogata che rendendo diffuso, duplicando e perfino moltiplicando il
ruolo materno, dilacera l’identità della madre e dunque strappa il tessuto
relazionale del diritto, divenendo non già fonte di giustizia, ma di
ingiustizia e, come tale, palesandosi come prassi bio-medica congenitamente
anti-giuridica.
In
conclusione, si possono accogliere le parole di Martin Rhonheimer il quale
nota:«La procreazione artificiale è in questo senso una modalità d’azione
ingiusta, e cioè non a motivo della sua artificiosità, bensì a causa dell’abuso
dell’arte medica, abuso che possiede una componente prometeica».
Aldo
Rocco Vitale
La
surrogazione di maternità come business internazionale eugenetico
Su
"Il Fatto Quotidiano" del 23 gennaio 2013 è stato pubblicato un
articolo sul mercato della maternità surrogata che, nella sola India, produce
un fatturato di ben 2,3 miliardi di dollari.
Il
suddetto servizio giornalistico non è che uno degli ultimi a focalizzare
l’attenzione dell’opinione pubblica su una pratica bio-medica quale è quella
della maternità surrogata (MS) che oramai ha assunto, nel suo continuo sviluppo
nell’ultimo ventennio, la dimensione di una vera e propria industria a livello
globale.
Bisogna
partire dall’inizio per comprendere le cifre e la loro evoluzione.
In
primo luogo, esiste un vero e proprio mercato delle cellule riproduttive, cioè
dei gameti, ovvero sperma e ovuli.
Sul punto gli studi sono numerosi, ma su
tutti spiccano quelli di Rene Almeling e Debora Spar; la prima si è occupata
del mercato di gameti, la seconda di quello della maternità surrogata.
Si scopre così che la maggior parte dei
cosiddetti "donatori" di
gameti si presta all’operazione in virtù del previsto compenso economico.
E se nel 1986 l’industria della fertilità
fatturava, soltanto negli Stati Uniti, circa 41 milioni di dollari, appena
qualche anno dopo, nel 2002, si era già arrivati a circa 3 miliardi di dollari.
Secondo il Wall Street Journal, nel 2000,
il solo mercato mondiale di sperma valeva circa 100 milioni di dollari.
Nel 2004, i contratti di surrogazione di
maternità negli Stati Uniti prevedevano un compenso oscillante tra i 30.000 e i
120.000 dollari.
Nel 2007, secondo le rilevazioni
dell’epoca, negli Stati Uniti un migliaio di donne ogni settimana ricorreva
alla PMA e oltre undicimila donne ogni anno partorivano bambini a seguito di
forme tecnologiche di fecondazione assistita, inserendosi nell’industria
riproduttiva americana, che quell'anno fatturava già circa 2 miliardi di dollari.
Inoltre,
è sempre presente la deriva eugenetica che rende possibile, anche con sfumature
utopistiche e ben poco scientifiche, scegliere il seme di premi nobel e atleti
olimpici da utilizzare per la gravidanza surrogata, come ricorda Michael Sandel
nel suo volume "Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria
genetica".
Il
più completo studio sul mercato riproduttivo, legato specialmente alla MS, in
India è stato compiuto dal Centre for Social Research (CSR) il quale ha
ufficializzato alcune cifre.
Secondo
le stime effettuate, la maggior parte delle donne indiane che si prestano come
madri surroganti sono giovani ragazze, sposate, tra i 26 e i 30 anni, hanno un
livello basso o primario di istruzione, sono in maggioranza di religione
induista, decidono di fare da madre surrogante per motivi economici e spendono
il ricavato che viene loro offerto dai committenti per il mantenimento della
propria famiglia, l’educazione dei propri figli, la costruzione o ricostruzione
delle proprie case o come risparmi per il futuro matrimonio delle proprie
figlie, nate in precedenza.
Il
CSR, inoltre, rivela come un rapporto della Confederazione dell’Industria
Indiana abbia stimato, per l’anno 2012, che l’industria della MS abbia
fatturato 2,3 miliardi di dollari.
Sempre
il CSR, nel suo voluminoso studio ricognitivo, nota che, mentre una madre
surrogante negli USA viene pagata tra 20.000 e 25.000 dollari, in India,
invece, una madre surrogante è pagata tra 4.500 e 5.000 dollari, in quanto il
turismo riproduttivo è più sviluppato rendendo più bassi i prezzi a causa della
concorrenza, anche secondo quanto rilevato dal prestigioso "The Economist".
Lo
scenario, il fatturato e le cifre sono destinate ad ampliarsi per almeno due
fattori principali: la crescente infertilità delle coppie occidentali
dipendente da vari fattori tra cui il più importante è l’età più avanzata delle
prime gravidanze; l’ingresso nel mercato riproduttivo delle coppie omosessuali
che, dopo il riconoscimento legale della loro unione un po’ dovunque nel mondo,
stanno cominciando a rivendicare il diritto a procreare, ricorrendo proprio
alla combinazione di procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata
come, tra le migliaia di casi, insegna quello del celebre cantante Elton John.
Il
tutto accade in violazione di norme e principi etici e giuridici.
Il
suddetto sistema della compravendita riproduttiva è, infatti, chiaramente in
contrasto con le Carte internazionali che vietano di trarre profitto economico
dal corpo umano e dalle sue parti, come sanciscono, per esempio, l’art. 21
della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e sulla biomedicina del 1997 e
l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000.
Infine,
si dimentica che in una tale dimensione l’essere umano, sia chi mette a
disposizione i gameti (spermatozoi e ovuli), sia la madre gestante, sia
soprattutto il bambino, è sostanzialmente reificato, cioè "cosificato", ovvero reso oggetto e
mezzo per la soddisfazione di desideri altrui.
Come
ha notato una donna, laica e femminista, del calibro di Miriam Mafai, «stiamo entrando
nel grande circuito della mercificazione della gravidanza con tutti i
cambiamenti giuridici, etici e psicologici che da questo possono derivare.
Avremo tra breve anche noi come in America degli album tra cui scegliere le
nostre incubatrici umane. Chi di noi non vorrà portare in grembo il suo bambino
potrà, pagando, depositare il suo embrione altrove e tornare a riprenderlo dopo
nove mesi. Si rompe così definitivamente un legame naturale, unico, nutrito di
sangue e di sogni tra la madre e quello che una volta si chiamava "il frutto del
ventre tuo" […]. Non tutto ciò
che è possibile allo scienziato può essere considerato lecito».
Si
è dimenticata, in sostanza, la inderogabile lezione di illuminismo di Immanuel
Kant per il quale, appunto, ciò che come l’essere umano ha una dignità, non può
avere un prezzo: «Nel regno dei fini
tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può anche essere
sostituito da qualcos’altro, equivalente; invece, ciò che non ha alcun prezzo,
né quindi consente alcun equivalente, ha una dignità».
Aldo
Rocco Vitale
I trattati internazionali sulla protezione dell’infanzia e la maternità
surrogata, altruistica e non.
Nell’ambito della cosiddetta maternità surrogata,
pratica di mercificazione dei nuovi nati ormai tristemente diffusa in molti
paesi occidentali, sta montando un movimento di protesta legato ad associazioni
di femministe, che denunciano con forza lo sfruttamento di donne poco abbienti
e disposte ad affittare il proprio utero, sottoponendosi a condizioni di
controllo sul proprio corpo e sul “prodotto” che portano in grembo, decisamente
inaccettabili.
La commercializzazione del corpo delle donne e dei
bambini è ormai diventato un vero e proprio business, nemmeno tanto nascosto, i
cui siti di carattere commerciale (con tanto di listino prezzi) possono essere
facilmente reperibili su internet.
La denuncia unanime di tali associazioni riguarda
però, nella maggior parte dei casi, la violazione dei diritti umani e della
dignità delle donne, trattate alla stregua di schiave e costrette, causa la
loro bassa condizione economica, a sottoporsi ad una gravidanza per soddisfare
il desiderio di maternità di ricchi occidentali, in cambio di cospicue somme di
denaro, in genere gestite da società, ormai trasformate in multinazionali.
Questo movimento di opposizione è di cruciale
importanza e sicuramente interessante in quanto, per la prima volta, un mondo
ampio si oppone in maniera decisa a tale aberrante pratica di sfruttamento e
compravendita.
In Italia, Fiorella Mannoia si è recentemente
espressa con un “tweet” che ha avuto un’ampia risonanza, criticando aspramente
la maternità surrogata commerciale.
Tuttavia la cantante, oltre alla sacrosanta
indignazione, offriva una personale apertura all'accettazione della pratica
della surrogazione: la possibilità, sottoposta a rigorosi controlli delle
autorità competenti, della cosiddetta maternità surrogata altruistica, cioè
legata ad un sincero desiderio di aiutare coppie, etero o gay poco importa,
impossibilitate ad avere figli anche tramite tecniche di fecondazione
eterologa.
In tal modo, la dignità della donna verrebbe, a suo
dire, valorizzata tramite un atto di autodeterminazione, che ricorda, e non a
caso, la stessa autodeterminazione usata in caso di aborto, visto come un
diritto fondamentale e mai negato dalle femministe di tutto il mondo, Mannoia
compresa.
Infatti, se l’utero appartiene alla donna che può
decidere legittimamente di eliminare il frutto del concepimento, il
ragionamento per cui tale frutto si possa regalare in maniera altruistica è
assolutamente coerente con una visione dell’essere umano, nelle prime fasi
della sua vita, visto come oggetto e non come soggetto di diritti.
In altre parole, ciò che andrebbe evitato è solo lo
sfruttamento commerciale della pratica di maternità surrogata, al fine di
salvaguardare la salute psicofisica delle donne, ma una donazione di bambini
fatta in nome dell’altruismo sarebbe assolutamente benvenuta.
Veramente sconcertante, in tutto ciò, è la completa
mancanza di voci critiche che mettano in discussione il presunto diritto umano
di poter disporre della vita dei nuovi nati come “oggetti” da regalo, seppur
donati con lodevoli intenzioni (accompagnate, ovviamente, da cospicui rimborsi
economici).
Il “diritto” d’aborto si scontra inevitabilmente con
il diritto alla vita del nascituro, diritto tutelato dalla nostra costituzione
e dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tuttavia, il
considerare il non nato una “non-persona” che acquisirebbe i diritti solo dalla
nascita in poi, permette l’ipocrita e tragica coesistenza, nelle società
occidentali, del diritto d’aborto delle donne con il diritto alla vita dei
bambini.
Nel caso della maternità surrogata altruistica, il
bambino viene fatto nascere dalla gestante surrogata al fine di essere ceduto
ai richiedenti previo accordo fra le due parti, non di natura economica e
quindi sotto forma di "donazione".
Essendo nato, però, il bambino acquisisce i diritti
riconosciuti, dalle molteplici dichiarazioni e trattati internazionali, a tutti
gli esseri umani ad a lui in particolare che pertanto dovrebbero essere difesi
e tutelati proprio da tali dichiarazioni e trattati.
I principi generali e i diritti ivi contenuti, e
riconosciuti a livello internazionale, proteggono il bambino da potenziali
sfruttamenti di qualunque genere, e soprattutto riconoscono in lui la natura di
soggetto di diritto e dovrebbero prevalere su ogni altro diritto, anche
assoluto in virtù della natura di soggetto debole dell'infante rispetto agli
adulti.
Il principio sesto della Dichiarazione dei Diritti
del Fanciullo, adottata il 20 novembre 1959, dall’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, recita: "Salvo circostanze eccezionali, il bambino in
tenera età non deve essere separato dalla madre".
L’articolo 7 della convenzione ONU sui diritti
dell’infanzia indica invece che Il fanciullo “è registrato immediatamente al
momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una
cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad
essere allevato da essi”
L’articolo 8, comma 2: “Se un fanciullo è
illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni
di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione
affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile”.
L'art. 18, 1 comma: “Gli Stati parti si devono
adoperare al massimo per garantire il riconoscimento del principio secondo cui
entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento ed
allo sviluppo del bambino. La responsabilità di allevare il fanciullo e di
garantire il suo sviluppo incombe in primo luogo sui genitori o,
all’occorrenza, sui tutori. Nell’assolvimento del loro compito essi debbono
venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo”;
E ancora, l'art. 21: “Gli Stati parti che
riconoscono e/o autorizzano il sistema dell’adozione devono accertarsi che
l’interesse superiore del fanciullo costituisca la principale preoccupazione in
materia… D) adottano ogni adeguata misura per vigilare affinché, in caso di
adozione all'estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di
profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili”.
Infine, il più importante di tutti, l'art. 35:
"Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello nazionale,
bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita o la tratta di
fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma".
E fondamentale, per quanto misconosciuto, appare il
disposto dei Protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo,
concernenti la vendita di bambini, la prostituzione e la pornografia
coinvolgenti l'infanzia, nonché il lor coinvolgimento nei conflitti armati
(adottati a New York, il 6 settembre 2000, ratificati in Italia con L. 11 marzo
2002, n. 46), che nei suoi primi articoli recita: "Articolo primo - Gli
Stati Parte vietano la vendita di bambini, la prostituzione di bambini e la
pornografia con bambini, in conformità alle norme del presente Protocollo. Articolo 2 - Ai fini del presente Protocollo:
a) per vendita di bambini, s'intende qualsiasi atto o transazione che comporta
il trasferimento di un bambino, di qualsiasi persona o gruppo di persone ad
altra persona o ad altro gruppo dietro compenso o qualsiasi altro
vantaggio".
È importante notare come, a partire dalla
Convenzione, la "vendita" sia considerata a sé stante, e vietata,
indipendentemente dalla finalità per cui avviene e dalla "forma" che
assume giuridicamente, anche se poi, nei Protocolli, viene auspicato che sia
prevista come reato esclusivamente se compiuta con le finalità specifiche
elencate più oltre all'art. 3, che contempla le ipotesi dello sfruttamento
sessuale, dell'uso degli organi e del lavoro minorile, nonché l'indebito
consenso all'adozione internazionale.
È inoltre fondamentale evidenziare come venga
considerata "vendita" anche la dazione a fronte di qualunque tipo di
"vantaggio", che può anche non essere economico, o consistere in un
mero "rimborso spese".
Purtroppo l'ipotesi della cessione totalmente a
titolo gratuito non è contemplata e questa è una enorme falla nel sistema,
anche rispetto alle successive ipotesi contenute nei protocolli, perché
indebolisce anche la tutela contro la prostituzione e la pornografia.
La prima domanda da farsi è dunque questa: la
surrogazione è una "vendita" di bambini, ai sensi della Convenzione
di N.Y., o può essere assimilata ad essa?
La risposta sta nel cuore di chi se la pone, ma
anche nei fatti: se si accantona per un attimo il discutibile diritto alla
genitorialità (che peraltro non varrebbe a legittimare la cessione di un essere
umano, esattamente come non potrebbero farlo il diritto il libero scambio di
merci o il diritto di proprietà, laddove sia violato il diritto del bambino, da
considerarsi preminente su ogni altro) e si osservano i fatti, si può
concludere che la maternità attuata attraverso l'utero in affitto è una vera e
propria cessione del neonato.
Infatti, non può in alcun modo essere considerata
una cura per l'infertilità, in quanto, pur se questa derivi da una patologia (e
questo non è ad esempio il caso delle coppie omosessuali, dove è naturale e non
patologica), la nascita di un bambino attraverso la pratica dell'utero in
affitto non avviene grazie alla terapia, perché non provoca la guarigione del
soggetto patologicamente non fertile. Esattamente come non lo è la fecondazione
artificiale, seppure venga spacciata per tale.
Chi sostiene la surrogazione, peraltro si guarda
bene dal parlare di cessione di bambini, riferendosi in tal modo esclusivamente
a quella che viene chiamata con un eufemismo "donazione" di gameti
benché sia il più delle volte una vera e propria compravendita.
Ma nel momento in cui i gameti di incontrano, essi
non sono più distinti e creano qualcosa di totalmente nuovo, che dalla cellula
iniziale, attraverso l’embrione, porta alla creazione di una creatura viva e
vitale, cosicché, già molto prima del momento della nascita, non esistono più
l’ovulo e gli spermatozoi in ipotesi acquistati, sui quali si potrebbe, forse,
discutere circa la liceità o meno della compravendita.
Ciò che è oggetto di scambio, nella realtà, è una
vita umana perfettamente formata frutto del grembo che lo ha nutrito.
La nascita di un bambino tramite maternità
surrogata, dunque, altro non è che la creazione di un essere umano allo scopo
di affidarlo ad una o due persone, nessuna delle quali lo ha portato in grembo
per i nove mesi di gestazione e di cui, almeno una, se non addirittura
entrambe, geneticamente non è suo genitore.
Ergo, più che di utero in affitto, si dovrebbe
parlare di cessione di neonato, considerato che la nascita del bambino non
avviene all'interno della coppia che dovrebbe assumerne la responsabilità
genitoriale.
Le legislazioni che consentono la surrogazione e che
attribuiscono ex lege la maternità alla cosiddetta "madre sociale",
cioè alla futura affidataria del nascituro, pongono quindi in essere una
finzione giuridica che si scontra clamorosamente con la realtà dei fatti, visti
dalla parte del bambino: per il neonato la mamma è colei che lo ha portato in
grembo, della quale conosce e riconosce la voce, il battito cardiaco, l'odore e
dalla quale ha ricevuto protezione e nutrimento per i nove mesi precedenti,
indipendentemente dal legame genetico con la stessa. Negare questo significa
negare la realtà.
E poiché "per vendita di bambini, s'intende
qualsiasi atto … che comporta il trasferimento di un bambino … dietro compenso
o qualsiasi altro vantaggio", possiamo ritenere che, alla luce dei
Protocolli, la surrogazione, anche quando effettuata sotto forma di donazione,
ricada a pieno titolo all'interno della definizione di cui all'art. l'art. 35
della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, laddove vieta "il
rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto
qualsiasi forma".
Si tratta infatti, senza dubbio, di una vendita
mascherata da una "forma" che la rende non immediatamente visibile,
anche se non sia stabilito un prezzo, ma vi sia solo un rimborso spese (che
costituisce comunque un "vantaggio" economico).
Inoltre, il divieto si estende qualunque sia il
fine, come già evidenziato, perciò nemmeno il preteso diritto alla
genitorialità può legalizzare una violazione dell'art. 35.
E ci si può spingere ancora oltre: poiché il
"qualsiasi altro vantaggio" previsto dai protocolli non dev'essere di
natura economica per essere giuridicamente rilevante, possiamo arrivare a
sostenere che, non solo l'esistenza di un rimborso spese, ma anche la semplice
soddisfazione personale della gestante cedente per aver contribuito alla
nascita del bambino a favore di estranei possa essere sufficiente ad integrare
gli estremi della vendita.
La logica conseguenza di quanto sopra affermato è
che ogni ipotesi di maternità surrogata, indipendentemente dalle modalità con
cui avviene e dalla previsione di un prezzo per la stessa, è sussumibile
nell'ipotesi della vendita del bambino, pure se venga agita ai fini pietistici ed
altruistici.
Che i figli non possano essere oggetto di
compravendita e nemmeno di “donazione” altruistica dovrebbe essere dunque un
principio palese e da tutti unanimemente riconosciuto.
Chi di noi “donerebbe” in maniera altruistica il
proprio figlio di 5 anni?
Invece, stranamente, si vorrebbe che l’infante nei
primissimi giorni di vita sia considerato un bene che può entrare a far parte
di un accordo privato preventivo, o successivo, fra due parti.
Tanto è vero che le legislazioni che disciplinano la
maternità surrogata (come negli Stati Uniti), in generale, stabiliscono che la
"portatrice" possa rinunciare, ancor prima del parto, ai propri
diritti a favore degli aspiranti genitori. Altre nazioni, come l'Inghilterra,
ancorano invece la surrogazione all'adozione, vietando i patti preventivi,
attuando una fictio iuris che vìola comunque i principi surrichiamati.
Ciò che non viene considerato in alcun modo, in
tutte le legislazioni che consentono la surrogazione, è il diritto del
nascituro ad essere tutelato nei confronti di una cessione che lo trasforma in
un oggetto, snaturando la sua umanità e privandolo dei suoi diritti.
Che differenza c'è tra la compravendita di bambini
già nati, ceduti agli aspiranti genitori dietro compenso (che può addirittura
essere considerata reato) e la surrogazione altruistica?
Nei fatti in entrambe le ipotesi un bambino viene
trasferito a chi non lo ha concepito, né lo ha portato in grembo.
In entrambe le ipotesi il bambino viene ceduto per
rispondere al "desiderio" o al "bisogno" di divenire
genitori di persone sterili, che non possono concepire naturalmente un figlio
proprio e non sono disposti, o non sono adatti, ad adottare un orfano.
No, non vi è alcuna differenza di fondo tra la
surrogazione altruistica e la vendita di un neonato ad estranei: il bambino è
privato allo stesso modo della sua umanità e dei diritti che da essa derivano.
Ferdinando
Costantino, Monica Boccardi
La maternità surrogata in Europa e nel mondo.
Paese
|
Divieto assoluto
|
Divieto maternità surrogata commerciale
|
Divieto maternità surrogata altruistica
|
Disciplina
|
Austria
|
Si
|
|
|
Vietata la donazione di ovuli
|
Belgio
|
No
|
Si
|
No, ma
non c’è alcuna legge specifica
|
Il
trasferimento della genitorialità legale richiede l’adozione.
|
Bulgaria
|
Si
|
|
|
|
Cipro
|
No
|
No
|
|
Nessuna
legge specifica sulla maternità surrogata
|
Repubblica Ceca
|
No
|
No
|
|
Nessuna legge specifica sulla maternità
surrogata
|
Danimarca
|
No
|
Si
|
|
Nessuna
legge specifica per la maternità surrogata
|
Estonia
|
No
|
No
|
|
Nessuna legge specifica sulla maternità
surrogata
|
Finlandia
|
|
|
|
|
Francia
|
Si
|
|
|
|
Germania
|
Si
|
|
|
|
Grecia
|
No
|
Si
|
Restrizioni
|
|
Irlanda
|
No
|
Si
|
Nessuna legge
specifica
|
Il
trasferimento della genitorialità legale richiede l’adozione.
I
tribunali stanno concedendo ai genitori genetici intenzionali di citati come
genitori legali all’atto della registrazione della nascita.
|
Italia
|
Si
|
|
|
|
Lettonia
|
No
|
Si
|
Nessuna legge specifica
|
|
Lituania
|
No
|
No
|
|
Nessuna legge specifica sulla maternità
surrogata
|
Lussemburgo
|
No
|
No
|
|
Nessuna
legge specifica sulla maternità surrogata
|
Malta
|
Si
|
|
|
|
Paesi Bassi
|
No
|
Si
|
|
I
genitori legali diventano tali a seguito di adozione
|
Polonia
|
No
|
No
|
|
Nessuna legge specifica sulla maternità
surrogata
|
Portogallo
|
Si
|
|
|
|
Regno Unito
|
No
|
Si
|
No. La madre surrogata non può ricevere più
soldi più di quelli ritenute come "spese ragionevoli". Gli
aspiranti genitori non possono pagare la maternità surrogata in sé, cioè la
madre surrogata non può guadagnare soldi dalla transazione.
|
La
genitorialità legale si trasferisce solo dopo la nascita tramite adozione e
nel momento in cui viene avanzata la richiesta di almeno uno dei due genitori
deve avere il domicilio nel Regno Unito.
La richiesta di adozione deve essere
realizzata entro i 6 mesi che seguono la nascita del bambino.
La gestante non può dare il suo
consenso al trasferimento della genitorialità fino ad almeno 6 settimane dopo
la nascita.
|
Romania
|
No
|
No
|
|
Nessuna
legge specifica sulla maternità surrogata
|
Slovacchia
|
No
|
No
|
|
Nessuna legge specifica sulla maternità
surrogata
|
Slovenia
|
No
|
No
|
|
|
Spagna
|
Si
|
|
|
I
contratti prenatali sulla gestazione e la prole sono considerati nulli, per
cui i nascituri sono legalmente figli dei genitori biologici.
|
Svezia
|
|
|
|
Nessuna
legge specifica per gli accordi di maternità surrogata.
Per il
trasferimento della genitorialità è necessaria l’adozione
|
Ungheria
|
No
|
Si
|
Nessuna
legge specifica
|
|
Stati Uniti (negli
stati in cui è consentito)
|
Agenzie specializzate si occupano di seguire tutto il percorso compresa
la redazione dei contratti. E’ previsto un rimborso spese per la madre
surrogata che può rinunciare, ancor prima del parto, ai propri diritti a
favore degli aspiranti genitori. Sulla base della rinuncia viene rilasciato
il certificato di nascita su cui risultano come genitori quelli biologici (o
uno dei due). Questo viene tradotto e munito di una certificazione che
convalida l’autenticità di un documento pubblico per l’uso internazionale per
la successiva trascrizione nel paese dei genitori biologici.
|
Russia
|
La
maternità surrogata, incluso quella commerciale, è legale ed accessibile
praticamente a tutti i maggiorenni che desiderano diventare genitori.
Le
agenzie seguono tutta la procedura medica. Alla madre surrogata viene
conferito un rimborso spese. Le donatrici di ovuli devono preferibilmente
essere diverse dalla surrogata.
La
rinuncia ai diritti di madre da parte della portatrice può avvenire solo dopo
il parto.
La
trasmissione del certificato di nascita allo Stato civile è compito
dell’ambasciata o consolato del paese dei genitori biologici.
La
madre surrogata deve dare il suo consenso affinché il nascituro venga
registrato. Non è necessaria l’adozione. Il nome della madre surrogata,
comunque, non compare mai nel certificato di nascita.
Non
è obbligatorio che il bambino abbia un vincolo genetico con almeno uno dei
genitori richiedenti.
Possono
accedervi persone single o coppie di fatto eterosessuali.
Gli
stranieri godono degli stessi diritti sulla riproduzione assistita dei russi.
Entro i tre giorni successivi al parto, la coppia committente riceve il
certificato di nascita russo, nel quale i due risultano come padre e madre.
|
Ucraina
|
La maternità surrogata, inclusa quella commerciale,
è pienamente legale.
In seguito alla nascita del bambino, la coppia
ottiene il certificato ucraino di nascita, nel quale i due risultano il padre
e la madre. Nei casi in cui si è fatto ricorso ad una donazione, non assume
alcuna importanza la relazione genetica "incompleta" con il
nascituro. Il paese, inoltre, è una delle mete più gettonate per le coppie
italiane che decidono di ricorrere alla surrogazione di maternità, dati i
suoi costi piuttosto accessibili, rispetto a quelli americani.
|
India
|
La
maternità surrogata, inclusa quella commerciale, è pienamente legale.
Tuttavia, dal luglio 2013 è proibito nel paese ricorrere alla maternità
surrogata per coppie omosessuali, single stranieri e coppie provenienti da
paesi in cui questa pratica non è permessa.
|
Thailandia
|
Possono ricorrere alla maternità
surrogata le coppie composte da almeno un thailandese e sposate da almeno tre
anni. Le madri surrogata devono avere più di 25 anni, essere sposate, avere
almeno già un figlio e sottoporsi alla surrogazione con il consenso del
marito. E’ vietata la maternità surrogata commerciale. Gli stranieri che
pagano donne thailandesi per portare avanti gravidanze surrogate rischiano
fino a 10 anni di carcere. E’ vietato anche l’uso di intermediari e qualunque
tipo di pubblicità e promozione a favore di questa pratica.
|
La surrogazione come cessione di neonati:
aspetti giuridici ed etici.
In Italia la maternità surrogata è una pratica
illegale, anche se effettuata a titolo gratuito, ed è prevista come reato dalla
L. 40/2004. Non è però punibile se effettuata all'estero, anche da italiani.
Fino ad oggi, i nostri Pubblici Ministeri hanno
incriminato per il reato di alterazione di stato (cioè per aver dichiarato
all'anagrafe la nascita di un figlio proprio non partorito dalla donna stessa),
le coppie che vi avevano fatto ricorso all'estero, registrando come figli della
coppia i bambini nati a mezzo di surrogazione in paesi dove è legalizzata e
disciplinata.
Di recente però alcuni Tribunali hanno assolto
dal reato alcune di queste, sostenendo (in estrema sintesi) che la
legalizzazione della filiazione surrogata effettuata dallo stato straniero secondo
la propria legge, impedisce il perfezionamento del reato.
In questo articolo non si intende commentare
tali decisioni sotto un profilo strettamente giuridico, ma fornire alcuni
strumenti per comprendere che si tratta di aperture che legalizzano la violazione
dei diritti fondamentali dei neonati coinvolti.
Cerchiamo quindi di chiarire qualche concetto
giuridico che permetta di comprendere come la cessione di un essere vivente non
possa essere ammessa nemmeno a titolo gratuito.
In primo luogo, teniamo in considerazione il
fatto che, alla nascita, il bambino non è una res nullius (cosa che non appartiene a nessuno), ma un essere umano
e aggiungiamo che, per la legge italiana, è figlio della donna che lo
partorisce, indipendentemente dall'origine genetica del gamete da cui è stato
concepito.
Lo riafferma chiaramente il provvedimento del
Tribunale Roma 20/08/2014, che applica le norme sulla filiazione alla diatriba
tra le coppie vittime dello scambio di embrioni fecondati in vitro: "la maternità naturale è ancora oggi legata
al fatto storico del parto".
Quindi il bambino che nasce è, per la legge
italiana, figlio di chi lo ha partorito e non, come si pone nel caso di
surrogazione, di chi ha fornito parte del patrimonio genetico
All'estero non sempre è così: laddove la
surrogazione è permessa, la disciplina varia, dalla fictio iuris di considerare il neonato figlio dei committenti, alla
finzione di adozione da parte dei committenti stessi a seguito di rinuncia alla
maternità (preventiva o successiva al parto) da parte della puerpera.
In ogni caso, ciò che materialmente accade è
questo: una donna partorisce un bambino, dopo averlo portato in grembo per nove
mesi, nutrendolo, proteggendolo, facendolo crescere e trasformando una cellula
in un essere umano perfetto e vivo, e poi lo cede ad altri che avevano "ordinato" il bebè, allo scopo di
avere un figlio che la natura impediva loro di concepire.
Il fatto che l’ovulo fecondato nella
maggioranza dei casi non appartenga alla donna che porta avanti la gestazione
non elimina lo status di madre di questa donna.
Il che, evidentemente, ripropone vigorosamente
la necessità di riaffermare, una volta per tutte, la validità giuridica,
filosofica, antropologica, morale e logica, del concetto di "naturalità" nei fatti che caratterizzano
la società.
Purtroppo, laddove la maternità surrogata è
permessa, non è così e si è proceduto alla creazione o alla modifica ad hoc della
legge, al fine di consentire la finzione della filiazione sganciata dal parto.
Nel nostro paese vi sono istanze, affinché la
maternità surrogata venga legalizzata, correlandone la possibilità alla
gratuità della stessa, trasformando la dazione dei gameti in "donazione" (non lasciamoci trarre
in inganno, chi mette a disposizione sperma e ovuli non lo fa gratis, ma come
minimo pretende almeno un "rimborso
spese") e l'affitto di utero in comodato gratuito, anche in questo
caso a fronte di un mero rimborso spese.
Ma nella realtà dei fatti, ciò che viene "donato" non è il gamete, ma il
bambino, perché l'utero non è concesso in uso ad altri: la donna che partorisce
il bimbo è la sua proprietaria ed il neonato, anche se non avrà il suo
patrimonio genetico, sarà stato cresciuto, nutrito e partorito da lei, non da
altri.
Per quanto si possa mascherare la cosa,
cambiando nomi o usando eufemismi, ciò che accade in caso di maternità
surrogata è dunque una vera e propria cessione di neonato dalla madre a terzi.
È dunque lecito regalare un bambino? O peggio
ancora farlo entrare in accordi di tipo commerciale sotto pagamento concordato?
Tornando alla definizione giuridica da dare
alla surrogazione gratuita, l'art 769 c.c. definisce la "donazione" come il "contratto col quale per spirito di
liberalità una parte arricchisce l'altra disponendo a favore di questa di un
suo diritto".
Per la legge italiana, dunque, escluso che
possa farsi rientrare la maternità surrogata nell'ambito dell'adozione,
dovrebbe parlarsi di donazione di
neonato. Ma se la donazione è un contratto, ad essa si applicano
necessariamente le norme sui contratti.
Cosicché, in ipotesi, alla cessione del neonato
dovrebbero applicarsi gli artt. 771, 810, 1346, 1418.
I quali prevedono che "La donazione non può comprendere che i beni
presenti del donante. Se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi"
(art. 771 c.c.); "Sono beni le cose che possono formare
oggetto di diritti" (art. 810 c.c.); "L'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o
determinabile" (art. 1346 c.c.), "Producono nullità del contratto … la mancanza nell'oggetto dei
requisiti stabiliti dall'art. 1346 c.c.".
Non sembra vi sia bisogno di spiegare altro: la
donazione del frutto di una maternità
surrogata appare del tutto contra legem,
oltre che immorale.
Infatti, perché possa ritenersi valida una
donazione siffatta, sarebbe necessario trasformare il neonato da soggetto di
diritto, quale è in quanto essere umano, oltre che ai sensi di ogni
legislazione sovranazionale, ad oggetto di diritti, privandolo in tal modo
della sua natura di persona viva e, per di più, particolarmente meritevole di
tutela.
Invece, appare evidente che l’oggetto del
contratto (che sia compravendita o donazione, poco importa), cioè la cessione
di un bambino appositamente fatto nascere per darlo alla coppia che lo ha
"ordinato", è impossibile,
sotto questo aspetto, in quanto il neonato, oggetto del contratto, non è, per
legge, un bene in senso giuridico e non può formare l'oggetto di diritti
altrui.
Non sarebbe, dunque, nemmeno necessario vietare
qualunque accordo che includa l’essere umano in quanto oggetto di scambio.
Le persone che non possono, per malattia, per
inclinazione sessuale, o per scelta, avere figli propri, soffriranno per questa
limitazione? Indubbiamente sì, esattamente come hanno sofferto le centinaia di
migliaia di persone che, nei secoli, hanno desiderato un figlio e non hanno
ricevuto tale dono.
Ma non si può nemmeno pensare che i bambini
fatti nascere con la tecnica della surrogazione, scambiati per denaro (che sia
chiamato prezzo o rimborso spese, poco importa) o, peggio ancora, "regalati", non debbano soffrire per
essere stati trattati come oggetti del preteso diritto di avere figli, una
volta che vengano a sapere come hanno avuto l'avventura di nascere, perché tale
pratica è disumanizzante nei loro confronti e non c'è dichiarazione d'amore che
possa lenire la ferita di chi si senta oggetto di un contratto, stipulato
esclusivamente per l'egoismo di chi lo ha voluto.
Monica Boccardi
Dalla favola alla realtà
"In America c'è un posto
dove delle signore gentili donano i loro ovini per chi non ne ha."
("Perchè hai due papà" di Francesca Pardi Ed. Lo Stampatello).
Jennifer
Lahal, fondatrice e presidente del "The Center for Bioethics and Culture
Network" ha un passato di venticinque anni di esperienza come infermiera
pediatrica in terapia intensiva, seguiti da una carriera come amministratore
ospedaliero e come senior-level nursing management.
Scrive
su riviste di forte spessore culturale ed appare spesso nelle più importanti
radio ed emittenti televisive americane quale esperta accanto a membri e
legislatori della comunità scientifica. Ha anche presenziato al Parlamento
europeo di Bruxelles per parlare del commercio legato al traffico di ovuli. Nel
2010 debutta come sceneggiatore e regista con il film documentario
"Eggsploitation" ("sfruttamento di ovuli"), vincitore del
Premio California Independent film festival del 2011, presentato in più di
trenta paesi tra cui l'Italia in occasione del Meeting di Rimini nell'agosto
2012.
Il
documentario, proiettato in moltissime università degli Stati Uniti, suscita
grande clamore ed eco nonché forti reazioni dell'industria che, con voli pindarici,
ha cercato di smentire quanto emerso, per salvaguardare interessi miliardari,
andando anche contro le pubblicazioni scientifiche riportate perché il mercato
di ovociti rappresenta uno dei più grandi business nel mondo.
La
Gran Bretagna, dal 1990, ha legalizzato la fecondazione eterologa e, con il
passare degli anni, ha apportato enormi cambiamenti alle modalità che
regolamentano la materia, fino a permettere che le "donazioni" di fatto possano essere retribuite e, addirittura,
che i trattamenti possano essere inseriti all'interno di una lotteria.
La
Fertilisation and Embriology ha giustificato ciò considerando "gli inconvenienti, l'impegno ed il tempo
speso da una donatrice nel processo necessario alla produzione di ovuli".
Nel
2012 la legge inglese ha triplicato il compenso per le "donatrici", non più 250 sterline ma un "risarcimento" di 750 sterline. A
darne notizia il quotidiano inglese Daily Mail del 18 luglio 2012, che
giustificava l'incremento del numero delle "donatrici"
con l'aumento dei compensi nel clima generale di recessione economica.
Il
boom di "donazioni" ha
azzerato le liste d'attesa per le coppie richiedenti del Bridgewater Hospital
di Manchester. L'osservatorio inglese per le tecniche riproduttive umane in
tale occasione aveva preso le distanze dal dato americano che dimostrava la
correlazione allarmante tra l'incremento dei compensi e lo sfruttamento di
donne giovanissime economicamente disperate.
Unica
voce controcorrente quella di Geeta Nargund, direttrice della clinica Create
Fertility di Londra, la quale aveva criticato aspramente questa decisione
dichiarandola inaccettabile, in considerazione dei rischi molto alti per la
salute delle "donatrici".
Infatti migliaia di studentesse dell'università di Cambridge erano state prese
di mira da una società dello Yorkshire, la cui politica si fondava sul fatto
che, se non poteva essere ammessa la compravendita, era invece lecito il
risarcimento.
Mentre
in occidente triplicano i compensi per le "donatrici" in oriente esplode il mercato low cost alimentato
soprattutto da coppie omosessuali.
L'osservatorio
internazionale BioEdge, tramite il suo portale, in un sondaggio chiese per
iscritto ad una serie di cliniche indiane quanto l'equiparazione del matrimonio
omosessuale a quello naturale avesse incrementato il fenomeno della maternità
surrogata. La risposta dei responsabili confermava la correlazione, segnalando
un aumento tra le donne dei ceti più poveri nei paesi in via di sviluppo. Nel
giugno precedente tale incremento era già balzato alle cronache per la morte di
una di loro Premila Vaghela, morta all'età di 30 anni, una delle tante, come
sottolineava il quotidiano The Guardian.
Dopo vari trattamenti ormonali, Premila era
deceduta non riuscendo a concludere la gravidanza prima di partorire.
L'India
fattura ogni anno più di due milardi di dollari. Si parla di venticinquemila
nascite di bambini da fecondazione surrogata, metà dei quali destinati a coppie
occidentali. Le madri surrogate, sottoposte a infiniti cicli ormonali, che le
distruggono sia fisicamente sia psicologicamente, vengono nella maggior parte
dei casi fatte partorire con taglio cesareo, al solo fine di far coincidere il
parto con l'arrivo della coppia adottiva.
Entriamo
ora nel vivo del documentario. Una voce domanda alle donne che vogliono un
figlio a tutti i costi se sia giusto farlo sulla vita di altre donne.
Annunci
martellanti per la "donazione"
di ovociti raggiungono ovunque le giovani studentesse americane, "la
pubblicità te la mandano anche sulla pagina fb" affermano alcune di esse,
altre dichiarano di essersi imbattute in questi annunci negli autobus, per
strada, all'università.
Guardando
quell'annuncio chi lo legge esclamerà "Sono
davvero un sacco di soldi", mentre si vede la cifra di 100 mila
dollari apparire su una inserzione. Un’altra inserzione recita "Se sei alta, attraente e magra … ed hai il
desiderio di aiutare qualcuno", "fai la differenza dona i tuoi ovuli". Cosi le ragazze non
iniziano solo per denaro ma anche per il messaggio filantropico che si cela
dietro a questa propaganda, autoconvincendosi che ciò sia doveroso nei
confronti di quelle donne meno fortunate.
Hanno
un nome quei volti segnati da un destino che ha lasciato tracce indelebili
nelle loro vite. Belle, giovani, di ottima istruzione le protagoniste
coraggiose che hanno avuto la forza di svelare e denunciare quanto si cela
dietro a quel mondo sommerso, loro non sono che la punta di un iceberg.
Premettiamo
che queste ragazze non sono state sottoposte ad alcun esame preventivo per
accertarne, qualora vi fossero state, eventuali patologie preesistenti
costituenti un elevato rischio per la loro salute, se non addirittura per la
stessa vita. Viene nella maggior parte dei casi recapitato loro a domicilio un
kit con istruzioni dettagliate alle quali si devono attenere scrupolosamente. I
contatti iniziali si tengono tramite internet o telefonicamente.
Sindy
racconta di avere trovato una inserzione sul giornalino dell'università per
reclutare donne che avessero ricevuto una educazione eccellente e che avessero
certe caratteristiche per poter "donare"
ovuli. Cercò allora di informarsi su eventuali controindicazioni, ma non riuscì
a trovare nessuno studio medico. Dopo la stimolazione venne sottoposta a
risonanza e poiché questa evidenziava follicoli immaturi le dissero che
qualcosa non aveva funzionato e che doveva assolutamente continuare la cura.
Finalmente arrivò l'atteso intervento di aspirazione degli ovuli.
Cindy
tornò a casa, le venne detto di stare a riposo, ma nonostante ciò iniziò ad
avere dolori lancinanti al punto che non riusciva a stare in piedi, il dolore
si fece cosi forte che non riusciva nemmeno a respirare. Si recò quindi in
clinica dove, dopo una risonanza magnetica, venne dimessa.
Le
fu detto che era tutto normale, che si trattava solo di dolori mestruali. La
compagnia assicurativa dell'agenzia di donazione
di ovuli la contattava, nel frattempo, solo per accertarsi che la sua
assicurazione medica coprisse da eventuali complicanze. A casa il dolore però
non abbandonava Sindy che era costretta nuovamente ad un ricovero urgente.
Questa volta le venne diagnosticata una forte
emorragia interna. L'iperstimolazione le aveva assottigliato i vasi sanguigni
che, in seguito al prelievo degli ovuli, si erano lesionati, provocando cosi
una forte emorragia che la costrinse a diverse trasfusioni di sangue.
Alexandra
voleva finire il dottorato, ma le mancavano i soldi. Le offrirono 3 mila
dollari, proprio la cifra che le sarebbe servita per terminare i suoi studi.
Essendo ricercatrice all'università ed avendo accesso agli archivi scientifici,
Alexandra cercò testi e letteratura sui rischi legati a questa pratica ma non
ne trovò.
Cominciò quindi il trattamento e, dopo solo 9
giorni, iniziò a sentirsi male al punto che svenne dal dolore. Un amico la
portò in clinica, le somministrarono antidolorifici per poi dimetterla. Dopo
due settimane di dolori ed una intera notte di vomito fecale ininterrotto, il
medico accettò di visitarla, e questa era la prima volta in cui lei vedeva
personalmente il medico. L'addome era pieno di sangue, il medico impallidì e
disse di conoscere il problema.
Le ovaie si erano attorcigliate alle tube,
avrebbe provato a salvarle. Non fu possibile e le ovaie vennero asportate. Solo
dopo 20 giorni e tre visite, l'insistenza di Alexandra le ha salvato la vita.
Ma il dramma non era ancora finito, infatti un blocco intestinale la costrinse
ad un nuovo intervento, con la conseguente perdita di peso di 12 chili e mesi
di convalescenza. Dopo cinque anni, sebbene non ne abbia familiarità, sviluppa
un tumore al seno a seguito del quale deve subire cinque interventi chirurgici
e cicli di chemioterapia.
Kella
prende contatti via internet con l'infermiera che le spedisce il kit di
medicine con le quali deve autogestirsi. Il primo farmaco che deve assumere, il
Lupron, blocca il ciclo mestruale. Kella non sa però di avere un piccolo tumore
benigno al cervello. Il tumore sotto l'effetto del farmaco ingrossa, lei inizia
a non stare bene ma le dicono che deve continuare. Aumentano i suoi malesseri
fino ad un giorno in cui un ictus le paralizza la parte sinistra del corpo.
Jessica,
29 anni, ha venduto per tre volte i suoi ovuli, immediatamente dopo ha
sviluppato un carcinoma all'intestino e a 34 anni è morta.
L'Industria
della fecondazione, spiega il documentario, fattura 6 miliardi e mezzo di
dollari l'anno. Opera senza sorveglianza né regole. I casi di queste donne non
vengono intenzionalmente monitorati, quindi non vi sono numeri complessivi.
L'unico
dato noto è che il 70% dei cicli di stimolazione ovarica fallisce. I rischi
sono: cancro al seno, all'ovaio ed all'endometrio. Inoltre infertilità,
emorragie, ictus, infarti e paralisi. ("Assessing the medical risks of humane oocyte donation. From stem cell
research", L. Giudice, E. Santa and R. Pool eds, Washington, D.c.,
National academies of science, 2007.)
Un
caso analogo a questi, è quello di Jennifer Billock, narrato in una intervista
rilasciata alla famosa rivista Marie Claire. Preoccupata per i debiti contratti
all'università e convinta che questo procedimento non debba essere cosi
faticoso, si reca in una clinica dove consegna allo staff le sue foto da
inserire nel catalogo dei "donatori".
Essendo
pagata profumatamente e non avendo inizialmente grossi problemi Jennifer decide
di rifarlo e con il tempo ne diventa dipendente. Addirittura i medici le dicono
che è sufficiente far trascorrere tra un ciclo e l'altro una sola settimana.
Cosi inizia il suo calvario. Le iniezioni che
prima percepiva come pizzichi ora sono dolorosissime. Il liquido ha l'effetto
dell'alcool sulle ferite aperte. Il medico le dice di continuare, le dice che
anche ipotizzando una reazione allergica la cosa non è poi cosi forte, e le fa
i complimenti, gli ovuli sono davvero molti, mai visti cosi tanti.
Ma
durante la fase di estrazione i medici lasciano una ferita che rimane aperta,
provocandole dolori insopportabili. Dopo essere stata più volte visitata scopre
che grosse cisti si erano formate su quella che ormai era una spessa cicatrice
e che il dolore insopportabile era stato causato da una di queste cisti, che
era esplosa. La scelta, anche in questo caso, è radicale e le nega la
possibilità futura di una maternità.
Queste
ragazze hanno costretto il loro corpo a produrre numeri elevatissimi di
ovociti: se si pensa che il numero massimo di ovociti prodotti normalmente in
un mese non supera i due, si può capire a quale violenza abbiano sottoposto il
loro corpo.
È
inaccettabile che un vero e proprio commercio (i cui ricavi sono miliardari nel
mondo) di organi venga mascherato dal più vile filantropismo che usa vite umane
con l'illusione di costruire la felicità altrui.
Maria
Teresa Armanetti
Un
viaggio virtuale nel sogno della maternità: il "miracolo" della surrogazione su internet.
Un
mondo in cui i bambini vengono ordinati su misura e fatti crescere da donne che
affittano il loro utero, scegliendo accuratamente il sesso, la provenienza
etnica, il colore della pelle ed altri attributi fisici non era stato
immaginato nemmeno dalla fervida mente di scrittori visionari come Huxley,
Orwell o Asimov.
Eppure
tale mondo non è fantascientifico, ma tremendamente reale e, ciò che è peggio,
tacitamente accettato da una fetta sempre più grande dell’opinione pubblica
tramite un lento lavoro di condizionamento mentale, voluto delle grandi
industrie della medicina riproduttiva e sapientemente portato avanti dai mezzi
di comunicazione, che ha reso normale e anzi meritorio ciò che pochi anni fa
sarebbe stato considerato una pura follia di stampo eugenetico.
Come
siamo arrivati a tutto ciò esula dallo scopo di questo breve articolo, che
invece vuole introdurre il lettore nel magico mondo delle opportunità di accedere
alla maternità surrogata, reperibili su internet, che fornirebbero la chiave
della felicità a chi desidera avere un figlio, ma ne è impossibilitato perché
sterile o, più frequentemente, perché unito a persona del medesimo sesso.
Aprendo
una finestra Google e digitando "clinica utero affitto surrogata"
l'elenco che appare supera i settemilacinquecento risultati:
Scegliendone
uno, si accede facilmente a una clinica specializzata in medicina che s’impegna
a "prenderci cura di voi, in modo
che possiate realizzare il vostro sogno di avere un bambino" (http://www.uteroinaffitto.com)
Il
sogno di avere un bambino ha un costo e passa prima da normali cure per
l’infertilità, poi a pratiche di fecondazione eterologa, arrivando infine ai
pacchetti di surrogazione "all
inclusive" che assicurano il successo di avere un "bimbo in braccio", allo stesso modo
in cui un concessionario offre una vettura "chiavi in mano".
Il
pacchetto "all inclusive"
di maternità surrogata si può facilmente acquistare a una somma vicina ai
30.000 euro e i dettagli si possono consultare nel comodo PDF allegato. Il lettore
può reperire ciò che serve per avviare le pratiche. Il successo è assicurato,
il rimborso in caso di fallimento anche, e vengono offerte le opportune
garanzie all’acquirente sulla bontà del prodotto scelto.
Ovviamente,
essendo la pratica della surrogazione ancora vietata in Italia da quello che
resta della legge 40, la clinica ha sede in Ucraina, ma poiché si rivolge anche
ad utenti italiani, ha almeno un ufficio in Italia, come si evince dalla
presenza sul sito di due numeri di telefono italiani (anche se il prefisso di
Roma è mascherato dall'aggiunta del numero successivo, quello internazionale
parla chiaro, anzi… italiano).
La
legge Cirinnà, se approvata, provvederà a dare lo status di genitori biologici
a coloro che torneranno in Italia con il prodotto acquistato presso tale
clinica.
Andiamo
avanti con il nostro magico viaggio. Se digitiamo "surrogacy" su Google, il motore di ricerca trova oltre un
milione di siti, non tutti ovviamente relativi a cliniche, e ci indirizza a
vere e proprie multinazionali che gestiscono le più importanti cliniche di
surrogazione sparse nei paesi in cui la pratica è permessa.
Ad
esempio, il sito "Circle surrogacy
" (http://www.circlesurrogacy.com/)
corrisponde ad un’agenzia di surrogazione con sede a Boston, che gestisce
cliniche di medicina riproduttiva, principalmente nel sud degli Stati Uniti. Il
sito è estremamente efficiente e ci offre le dichiarazioni e i curricula dei
membri del consiglio direttivo.
Il
presidente dell’agenzia, tale John Weltman è un avvocato con un curriculum di
tutto rispetto (studi a Oxford, Yale e Harvard) e padre di due bambini ottenuti
tramite maternità surrogata. La sua mission dichiarata è quella di proteggere i
diritti delle persone LGBT che desiderano soddisfare il desiderio di
genitorialità.
"Circle
Surrogacy is the leading surrogacy agency in the United States for gay couples
and individuals. John Weltman, Circle’s President, Founder and gay parent
through surrogacy, has been helping LGBT couples and individuals from around
the WORLD become parents since 1995."
Lo
slogan che offre nella home page è "Miracles
can be expected through surrogacy",
che può essere tradotto così: "Attraverso
la surrogazione si possono ottenere miracoli".
È interessante
notare come le parole "miracolo"
e "sogno", risuonino in
maniera ossessiva in questi siti.
Ma
andiamo al dunque: il servizio di surrogazione ha dei costi stimati che il sito
fornisce con encomiabile trasparenza.
Se
si è residenti negli Stati Uniti e si desidera richiedere una gestante
surrogante e una "donatrice"
di ovuli il sito fornisce tutti i costi stimati
Con
90.000 dollari, che includono spese legali, assistenza sanitaria alla madre
gestante, prezzo degli ovuli acquistati e contributi per i dipendenti delle
cliniche, si porta a casa il bimbo.
Al
netto delle ritenute la madre gestante riceve 30.000 dollari. Non stiamo
evidentemente parlando di maternità surrogata altruistica.
Se
si apre la finestra relativa al database delle cosiddette "donatrici di ovuli" si scopre che "We're here to help you find the right match. Some intended
parents choose donors based primarily on physical attributes or one who shares
their ethnic, religious, or cultural backgrounds. While other intended parents
hope to find an egg donor who is healthy and athletic or has musical or
artistic talent. Whatever attributes you're looking for, you can search our
list of hundreds of available egg donors below. Filter by characteristics that
meet your preferences. If you can't find an egg donor in our database that
interests you, we can help expand your search during the consultation, which is
the first step in moving forward with your journey."
Che
tradotto vuol dire "Siamo qui per
aiutarvi a trovare il giusto abbinamento. Alcuni aspiranti genitori scelgono
donatori basandosi principalmente su attributi fisici, oppure in base alle loro
origini etniche, religiose, o culturali. Mentre altri aspiranti genitori
sperano di trovare una donatrice di ovuli che sia sana e atletica o abbia
talento musicale, o artistico. Qualunque siano gli attributi che stai cercando,
è possibile trovarli nella nostra lista di centinaia di donatrici di ovuli
disponibili in basso. Filtra per le caratteristiche che soddisfino le tue
preferenze. Se non riesci a trovare nel nostro database una donatrice di ovuli
che ti interessa, possiamo contribuire a espandere la ricerca durante la
consultazione, che è il primo passo per andare avanti con il vostro viaggio"
Non
è forse questa la selezione eugenetica di un prodotto scelto su misura?
Chiunque sia ancora dotato di un minimo di buon senso può farsi una chiara idea
al riguardo.
A
proposito di miracoli, il sito "Miracle
surrogacy" (http://www.miraclesurrogacy.com/) offre servizi di
maternità surrogata in Messico e Nepal.
Anche in questo
caso un cospicuo pacchetto è offerto ai potenziali acquirenti come sotto
mostrato.
Il "baby at home" dell’ultimo riquadro
ricorda il "bimbo in braccio"
della prima agenzia sopra riportata, a testimonianza che le strategie di
marketing sono decise con inquietante coordinazione e probabilmente a livello
internazionale.
Per
95.000 dollari si possono provare tentativi illimitati, fino alla nascita del
bimbo, a cui sono associate altrettante "donazioni" di ovuli. Anche in questo caso, una cifra cospicua
è prevista per il rimborso spese della madre surrogante.
Il
gruppo è gestito dall’associazione CEFAM (creating families) che riporta le
nascite di più di 1.500 bambini in Messico negli ultimi 20 anni.
"Surrogacy India" (http://www.surrogacyindia.com/) è un’analoga
agenzia, che si occupa di maternità surrogata nel paese asiatico.
Il
team di SI fornisce trattamenti contro l’infertilità, occupandosi
principalmente di "ovodonazione
" e maternità surrogata (strani trattamenti, si direbbe).
Il
costo dei servizi è simile a quello dell’agenzia americana sopracitata ed è consultabile
da chiunque voglia farsi una più chiara idea, ma qui è interessante vedere le
testimonianze riportate, di alcune madri surroganti, che sono facilmente
reperibili nel menu a finestra.
Per convenienza
del lettore sono state sottolineate alcune frasi importanti:
"I have
fulfilled my dream of having my own house which I would have never ever
fulfilled if I would not have done this." ("Ho potuto realizzare il sogno di avere una
mia casa propria, che non avrei mai avuto se non avessi fatto questo")
dice Zarina riferendosi al suo utero affittato.
Anju
dice più o meno la stessa cosa: "I
enrolled my kids in English medium school. If I would not have been a surrogate mother, I could
have never ever done this." ("Ho iscritto i miei figli alla scuola
Inglese. Se non fossi stata una madre surrogate non lo avrei mai potuto fare").
Per
finire, Mahesar ci dice "Sono molto
felice di poter far nascere un bambino surrogato e di poterlo dare ai suoi
genitori biologici." Non è dato sapere come mai la signora ritenga di
non avere alcun legame biologico con il bambino che ha gestato per 9 mesi. E
non è dato sapere quale dei genitori biologici manchi all’appello nei vari
tasselli che hanno portato alla generazione del figlio.
Queste
testimonianze dovrebbero far struggere di commozione le anime gentili che si
sciolgono in lacrime davanti a cotanta generosità, ma in realtà, una più
attenta analisi rivela come queste donne siano rese oggetto di un vero e
proprio ricatto, sottoponendo il proprio corpo a un ignobile sfruttamento, reso
possibile dalle loro basse condizioni economiche.
Ovviamente,
testimonianze di ben altro tenore, che sicuramente esistono, sono accuratamente
celate.
Questi
pochi esempi rappresentano solo una goccia nel mare di quello che si può
trovare su internet oggi, se si cercano cliniche per la surrogazione a cui
rivolgersi.
Un
traffico di affari difficilmente stimabile (ma ammontante, come minimo, a
diversi miliardi di dollari, se solo negli Stati Uniti fattura ormai oltre i 2
miliardi), è permesso, in barba a qualsiasi trattato di protezione dei minori e
dei diritti umani, gestito da agenzie rivestite di propositi umanitari, ma in
realtà portate avanti da veri e propri managers di multinazionali, che hanno il
semplice e solo scopo di raggiungere il maggior profitto possibile.
La
parola "miracolo", che
troviamo frequentemente in tutti questi siti, si riferisce al fatto che
miracolosamente un bimbo possa nascere da due uomini o due donne. Questo
furbescamente sottintendono i signori che gestiscono tutta la faccenda!
No.
Non è un miracolo, ma pura compravendita di esseri umani, al fine di ottenere
enormi profitti sulla pelle di bambini, che vengono orribilmente trattati come
merce e, come tali posono essere rifiutati o rispediti al mittente se non soddisfano
le pretese di chi acquista.
Come
siamo arrivati a tutto ciò? Difficile dirlo, ma la battaglia per evitare che
tale traffico aumenti e metta basi legali anche nel nostro paese passa
attraverso una campagna di sensibilizzazione e presa di coscienza che raggiunga
tutto il pianeta con ogni media disponibile.
Ferdinando
Costantino, Monica Boccardi
LISTA DI ALCUNI
SITI
Educare:
cantico della differenza:
La
fondamentale complementarietà educativa del padre e della madre
Molte
delle coppie che ricorrono alla pratica della maternità surrogata sono coppie
omosessuali maschili, le quali con tutta evidenza non sono in grado di generare
figli e si illudono di poterlo fare con il supporto della tecnica e l'acquisto
di un gamete femminile unito all'affitto di un utero.
In
questi casi, i bambini che nascono e vengono affidati a queste coppie, oltre a
subire il fatto di essere stati fabbricati e compravenduti, vengono privati di
una delle due figure genitoriali di sesso distinto, la mamma.
La
stessa cosa, mutatis mutandis,
avviene quando una coppia lesbica ottiene un figlio attraverso la fecondazione
artificiale di una delle due componenti.
Una
delle più usate giustificazioni alle critiche sollevate a questa imposizione,
diffusa ormai un po' ovunque, è l'affermazione che, per essere una famiglia e
perché un bambino possa crescere armoniosamente, basta che ci sia l’amore,
indipendentemente dal fatto che la coppia genitoriale sia composta da un uomo e
da una donna o da individui dello stesso sesso. L’amore è una componente
fondamentale nei rapporti fra le persone e, ovviamente, lo è per la crescita di
un individuo, ma purtroppo non è sufficiente.
La
maternità surrogata, oltre a rendere il bambino oggetto di compravendita, lo
priva, nelle primissime fasi della sua esistenza, di quel dualismo essenziale
alla sua crescita derivato delle figure paterna e materna.
Perché
un bambino o un adolescente possano formare la loro psiche e riuscire ad
interiorizzare la loro identità devono, infatti, poter ricevere quel tipo di
cura e affetto che si crea nella continuità della generazione, che è da un uomo
e da una donna; occorre, quindi che l’amore sia differenziato. Ciò vuol dire
che l’amore in quanto tale è condizione solo marginale nella crescita armoniosa
del bambino.
Scriveva
Lacroix in "In principio la
differenza" (op. cit. p.71): "Amare
non consiste soltanto nel provare affetto ma piuttosto sostenere attivamente le
condizioni oggettive della crescita (…) che implicano spazi, funzione e
differenza. La famiglia non si limita a costruire relazioni affettive, ma è una
struttura. E le sue differenze primordiali intorno a cui si articolano sempre
le strutture elementari dell’essere genitori, sono ravvisabili nella differenza
dei sessi e nella differenza fra generazioni".
L'importanza
della differenziazione sessuale nella formazione si può dedurre dall’etimologia
del termine stesso educazione. Il
lemma indica l'atto e l'effetto del verbo "educare", che significa "alimentare, allevare, nutrire, curare e istruire", a sua volta
derivato dal latino "educere".
Educere
("ex ducere") si può
tradurre come "estrarre, far uscire,
condurre al largo, trarre alla luce, generare, allevare, innalzare".
La
duplicità e la complementarietà di significati del termine latino è evidente e
permette di assimilare immediatamente queste diverse sfumature all'aspetto più
materno e femminile dell'educare, come l'accoglienza e il nutrimento, e a
quello più paterno e maschile del far uscire, condurre a largo e innalzare:
caratteristiche comportamentali differenti nell'approccio ai figli, che sono
presenti fin da subito nella storia famigliare ed educativa di un individuo.
Per
meglio comprenderne la compenetrazione, analizzeremo i due ruoli seguendo una
naturale cronologia partendo dal rapporto madre e bambino fino dalle prime fasi
di vita intrauterina.
Grandi
studiosi come Freud, padre della psicoanalisi, ma anche Mahler, Bowlby e
Whinnicott, solo per citarne alcuni, sottolineano l'importanza del rapporto
madre-figlio nei primissimi anni. Anche la scienza supporta queste teorie
dimostrando l'interazione madre bambino già nel periodo prenatale.
Dal
momento stesso della fecondazione, infatti, si determinano lo sviluppo e la
crescita degli organi del bambino e dei suoi apparati sensoriali. Il primo
sistema ad attivarsi è quello della sensibilità
cutanea che sarà interamente formata intorno alle trentadue settimane, poi
il sistema vestibolare, quello uditivo che è funzionale già al settimo
mese e in ultimo quello visivo anche se, già alla settima settimana il nervo
ottico e le cellule retiniche sono già presenti. Gli organi gustativi sono
invece già funzionali alla quattordicesima settimana: ecco perché quando nasce
il bambino ha già delle preferenze di gusto piuttosto nette.
In
base a questi dati, possiamo facilmente intuire come il bimbo sia continuamente
stimolato da suoni e rumori, luci, voci e odori provenienti dal corpo della
madre attraverso il liquido amniotico, o dall’esterno.
Il
piccolo, infatti, riconosce le voci della mamma e del papà, distingue anche
diverse musiche, e dà risposte motorie differenti in base a luci intense o
deboli e a sapori dolci e salati.
L'interazione
con i genitori, quindi, avviene fin dai primi momenti della gravidanza. In
particolar modo, il piccolo partecipa a tutte le esperienze della mamma,
ricevendo attraverso la placenta e l'alterazione del battito cardiaco anche
informazioni di natura emotiva e psichica. Grazie a ciò, il bimbo inizia già a
formare la sua personalità nei primi mesi dal suo concepimento. Assistiamo
quindi ad una continuità fra le fasi di sviluppo prenatale, perinatale e quelle
successive.
È
importante, a questo punto, sottolineare come sia fondamentale, per il
nascituro, fin dalla vita intrauterina, ricevere attenzioni e stimoli da
entrambi i genitori, i quali parlandogli amorevolmente e coccolandolo lo
facciano sentire accolto, amato e desiderato ancor prima della nascita.
Purtroppo
la vulgata comune rivendica il diritto alla compravendita del bambino in quanto
il legame genetico è assicurato dai gameti di uno dei genitori, trascurando o
ritenendo comunque trascurabile il legame biologico ed emotivo che si crea nel
ventre della madre surrogata.
Dopo
la nascita e in continuità con le esperienze prenatali, il bambino arriverà ad
avere una identità strutturata già nei primi tre anni di vita.
La
psicoanalista Margaret Mahler (1897-1985) spiega infatti come la strutturazione
dell'identità avvenga attraverso un processo di individuazione/separazione che
si compie nella relazione "simbiotica"
con la madre. La Mahler usa il termine "simbiosi" mutuandolo dalla biologia, proprio per descrivere lo
stretto legame iniziale di dipendenza reciproca fra madre e bambino, che per il
piccolo si esprime con l'esplorazione del corpo della mamma attraverso il
tatto, mentre per la madre è un esperienza legata strettamente alle parti più
interne e viscerali di sé.
Fino
ai tre anni il padre, anche se non fa parte dell'unione simbiotica della mamma
col suo bimbo, è comunque un importante "oggetto d'amore". Egli essendo "fuori" rispetto al corpo del figlio, ha il compito di farlo
uscire da questo legame forte con la madre.
Se,
quindi, nei primi mesi di vita durante l'allattamento, il padre resta "nell'ombra", nel periodo successivo
diventa un nuovo punto di riferimento per il figlio ed un polo di attrazione
per la figlia: in questa dinamica il bambino matura il senso della differenza.
Conseguentemente, se la figura paterna venisse a mancare per qualche ragione,
il figlio potrebbe rimanere "indifferenziato",
perché non riuscirebbe a staccarsi dalla madre.
Madre
e padre rivestono quindi due ruoli differenti; differenza che come
precedentemente sottolineato è fondamentale per l'educazione, in quanto essa è
basata sull'identificazione dei figli con i genitori, e l'identificazione è
fondamentale per la crescita dell'identità, infatti anche etimologicamente i
due termini si rifanno alla stessa radice.
Il
bambino si fa "identico"
(si identifica) al genitore dello stesso sesso per costruire la sua identità
che non può essere completamente assimilata se non viene confermata dal
genitore del sesso opposto.
La
mamma, dando al figlio la propria approvazione, lo aiuta a radicare la propria
identità maschile; mentre le attenzioni che il padre dà alla figlia le danno
autostima, fondando la sua femminilità e rivelando le sue caratteristiche.
Da
tutto questo si evince come le differenze di ruolo fra padre e madre siano
importantissime nella crescita psicologica dei figli. La presenza del padre e
della madre non solo ha un peso diverso e alterno nelle varie fasi di crescita,
ma i due genitori hanno anche modalità e competenze differenti: mamma e papà
non giocano o si prendono cura del bimbo nello stesso modo; il papà prende
maggiormente su di sé, rispetto alla madre, il ruolo di stabilire le regole e i
limiti; il sapere legato alla vita sessuale nell'età puberale è legata a sesso
del genitore: il papà ne parla al figlio, la mamma alla figlia; papà e mamma si
rapportano differentemente con i figli a seconda che siano bambini o bambine
nel gioco e nelle varie attività quotidiane e così via.
Da
tutto quello riportato finora si evince che questo non può avvenire con le
stesse modalità quando la coppia è formata da individui dello stesso sesso, dal
momento che vengono a mancare, nella relazione con i figli, quei contribuiti
insostituibili e peculiari che derivano da ciò che differenzia l'uomo dalla
donna e che arricchisce il loro rapporto in modo unico, rendendoli capaci di
tessere quel "cantico della
differenza" che diventa l'ambiente ideale per la crescita armoniosa ed
equilibrata di un nuovo essere umano.
Chiara
Rastello
Bibliografia:
Etienne Roze, "Verità e splendore della differenza sessuale"
ed. Cantagalli, 2014
Anna Stella Nutricati, "La psicologia prenatale e il tempo",
PSYCHOFENIA- Anno XII, N.21-2009
Martina Rofi, "Lo sviluppo psicologico del bambino nel
periodo prenatale"
Relazione del convegno
tenuto del Dottor Paolo Ferliga "Educare
in due, educare insieme, educare comunque", Genova, 2013