Speciale sulla maternità surrogata: aspetti antropologici, economici, giuridici ed etici


 

EDITORIALE DELLO SPECIALE


L’istituto del matrimonio, così come valorizzato e difeso dalla nostra costituzione e regolamentato in diritti e doveri dei coniugi dal codice civile è ormai compromesso da una visione diffusa nei paesi occidentali che lo sta tristemente trasformando in un contratto, ancora di rilevanza pubblica, ma di fatto privatistico e assurdamente fondato sull’amore (sic), eliminando dunque a priori la sua ratio fondamentale che è quella di garantire alla società la crescita, l’educazione e il mantenimento delle nuove generazioni.
Inevitabilmente, secondo alcuni, il matrimonio Gay diventerà realtà anche nel nostro paese, seppur camuffato, per adesso, dall'artificio linguistico di chiamarlo "unione civile".
Si può ritenere, inoltre, che l’accesso al matrimonio fra persone dello stesso sesso porterà inevitabilmente, se non grazie al legislatore per via giudiziaria, attraverso la Corte costituzionale, anche all’apertura alle adozioni da parte delle coppie omosessuali, in nome della parità di diritti.
Oggi il disegno di legge Cirinnà, che al momento è in discussione in commissione Giustizia del Senato, esclude l'accesso all’adozione da parte dei conviventi, ma all’articolo 5 introduce la cosiddetta "Stepchild Adoption", che consentirebbe al convivente di adottare il figlio biologico dell’altro/a convivente unito in unione civile.
Tale articolo è estremamente pericoloso, in quanto di fatto comporta la legittimazione della pratica dell’utero in affitto in Italia, attualmente vietata dalla Legge 40, e rappresenta il vero punto di rottura culturale e politica, nonostante i sostenitori della legge si ostinino a trovare alibi o a sminuire la sua portata.
Infatti, se la legge venisse approvata, coloro che si recano all’estero a praticare la maternità surrogata e rientrano in Italia con un figlio riconosciuto come proprio (biologico o meno, non importa), potrebbero legittimamente farlo adottare dall’altro partner e ottenerne la potestà (oggi chiamata responsabilità genitoriale, dopo la riforma della filiazione) da parte della coppia.
La pratica della maternità surrogata, non può essere nascosto, è un’ignobile compravendita di bambini, che vengono trattati come merce e privati della loro umanità, negando loro il diritto di stare nei primi fondamentali anni di vita con la madre che li ha portati in grembo e partoriti.
Genera inoltre un traffico di affari, nei paesi dove è permessa, stimabile in diversi miliardi di euro l’anno ed è un business che sta cercando prepotentemente di prendere piede nel nostro paese, grazie anche a una campagna pubblicitaria, nemmeno troppo sommersa, che parandosi dietro l’alibi del rispetto verso le persone omosessuali e dell’amore che vince sopra ogni cosa, instilla nella mente della gente comune un senso di accettazione silente e crescente di questa pratica.
Questo speciale, frutto del lavoro di ricerca di persone comuni, alcune delle quali specialiste in questioni giuridiche, vuole approfondire il tema della maternità surrogata sotto diversi punti di vista.
Si vuole infatti far luce sulle molteplici violazioni dei diritti umani e dell’infanzia, che la surrogazione perpetua continuamente e di cui le istituzioni garanti sono ignobilmente complici.
Si è cercato poi di far luce sulle normative dei paesi dove la surrogazione è permessa e sul traffico di soldi che c’è in gioco.
Si è affrontato il tema della "ovodonazione" e delle conseguenze psicofisiche che subiscono le donne che si sottopongono a tale trattamento.
Si è inoltre approfondito il tema della complementarità maschile/femminile di cui un bambino ha bisogno nei primi anni della propria vita e dei danni che subisce se essa gli viene privata con violenza.
Tutto ciò nel momento in cui è appena uscita un’inedita testimonianza, su un recente tentativo di pubblicizzare la pratica della surrogazione in Italia da parte di una clinica privata, con i consigli su come procedere e lo svelamento delle motivazioni che spingono le persone a intraprendere questo cammino.
La consapevolezza necessaria per opporsi con tutte le nostre forze, affinché la pratica della surrogazione venga abolita, passa dalla conoscenza dei suoi risvolti etici, economici e giuridici. Questo numero speciale vuole fare chiarezza e fornire le informazioni ai lettori su tutti questi aspetti in una sola volta.


La maternità surrogata: definizione, quadro giurisprudenziale, dottrinale e normativo in Italia. Riflessioni critiche.

Difficile, se non impossibile, affrontare dal punto di vista giuridico il fenomeno della "maternità surrogata" o "utero in affitto" senza tecnicismi, perché, pur riducendoli al minimo, esso vede due soggetti titolari di situazioni o diritti individuali potenzialmente confliggenti: da una parte il diritto di procreare e dall’altra i diritti del nascituro (di conoscere le proprie origini, di essere allevato nella famiglia iure sanguinis, di avere un padre e una madre). E allora, come uno studente di giurisprudenza del primo anno dovrebbe sapere, quando all’ordinamento giuridico si chiede la tutela di una nuova situazione che corrisponde ad un certo interesse diffuso a livello sociale (il nostro secolo registra il boom dei diritti individuali), è necessario preliminarmente verificare se il suo riconoscimento e la sua tutela si pongono in conflitto con diritti e interessi di altri individui, attraverso il contemperamento degli aspetti confliggenti.
Il lettore attento, quindi, apprezzerà (spero) i tecnicismi, perché lo aiuteranno ad entrare nel cuore di un fenomeno che non può ridursi al riconoscimento incondizionato di meri desideri (per quanto spesso mossi da nobili ragioni), essendo necessario scendere nel profondo, specie se, dall’altra parte, il soggetto da tutelare è il nascituro, che voce propria non ha e si aspetta di esser difeso, in primo luogo, dai propri genitori.
Sulla base della letteratura giuridica esistente e grazie a una definizione che ha il merito di metterne in luce il carattere negoziale, la maternità surrogata si realizza attraverso un accordo fra tre o più parti, in forza del quale una donna (definita "madre surrogante" perché si sostituisce alla donna infertile), per soddisfare esigenze di maternità e di paternità altrui, dietro corrispettivo o a titolo gratuito, contrattualmente noleggia - con il consenso del marito, se sposata - il proprio utero ad una coppia di coniugi impossibilitata ad avere figli per sterilità della partner (madre sociale committente), impegnandosi a farsi fecondare artificialmente con il seme del marito di quest’ultima (padre biologico committente), a condurre a termine la gravidanza nel rispetto di determinate norme di comportamento ed a consegnare alla coppia committente (genitori intenzionali) il figlio così concepito, rinunciando ad ogni diritto su di esso.
E’, poi, necessario distinguere tra maternità surrogata vera e propria (il nato ha un legame biologico con l’uomo della coppia e la madre surrogante) e la "locazione d’utero" o "utero in affitto" o "maternità surrogata gestazionale" in cui l’embrione è fecondato all’esterno dell’organismo della donna surrogante - tramite ovulo fornito dalla madre committente o da una "donatrice" anonima - e successivamente trasferito nel suo utero, insomma una sorta di incubatrice umana.
Dopo questa precisazione, appare evidente che la pratica, inizialmente concepita quale accordo fra tre soggetti per superare problematiche legate alla sterilità femminile della donna, ha visto il moltiplicarsi di coloro che partecipano al processo procreativo, in quanto nulla esclude che la fecondazione coinvolga soggetti estranei sia alla coppia committente sia alla madre surrogante, attraverso l’intervento dei "donatori" di materiale procreativo (seme e ovuli) e l’accesso non solo a coppie eterosessuali, ma a coppie omosessuali e a uomini e donne (singoli) che non intendono intraprendere una relazione sentimentale.
Ecco come rovesciando il noto brocardo, secondo il quale mater semper certa est, non possiamo più essere sicuri di quante figure genitoriali entrino in gioco all’interno del processo procreativo con grave compromissione di alcuni diritti fondamentali del nascituro.
Oggi, in Italia, la legge n. 40/2004, "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", vieta espressamente la pratica surrogativa (articolo 12 commi 1 e 2) e qualsiasi realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione di tale pratica (comma 6). Esiste, quindi, una linea di continuità giuridica tra l’attuale legislazione e l’orientamento giurisprudenziale precedentemente formatosi, continuità che trova la propria sede esattamente nell’insieme dei valori assunti a fondamento dell’ordinamento.
Il primo caso di maternità surrogata in Italia fu deciso dal Tribunale di Monza nel 1989: una coppia di coniugi senza figli concluse un contratto con un’immigrata algerina, in forza del quale quest’ultima s’impegnava, dietro corrispettivo, a sottoporsi ad inseminazione artificiale con il seme del coniuge, a portare avanti la gravidanza ed a consegnare allo stesso e alla moglie il nascituro, rinunziando a qualunque diritto nei suoi confronti. Successivamente pentitasi, la madre surrogata si rifiutò di adempiere gli impegni assunti e i coniugi si rivolsero al tribunale per ottenere la richiesta di riconoscimento della minore quale «figlia naturale» del padre biologico (e committente) e l’affidamento in via definitiva ad entrambi.
I giudici decisero che si poteva e si può concedere il riconoscimento del minore come figlio naturale del padre (ovviamente, solo se egli è anche il padre biologico del nascituro), che ne può chiedere, tramite provvedimento da parte del giudice, l’inserimento nella propria famiglia legittima. Il nato sarà poi figlio naturale della madre surrogante, per l’insuperabilità del disposto di cui all’articolo 269 codice civile ("La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre").
La sentenza affronta per la prima volta l’ammissibilità nel nostro ordinamento del contratto di maternità surrogata ed è di particolare interesse perché enuncia quali sono gli ostacoli, legislativi e di ordine costituzionale, che impediscono il riconoscimento del contratto di gestazione per conto terzi quale «contratto atipico» ex articolo 1322 del codice civile (cioè non espressamente previsto dalla legge, ma diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico), ostacoli così sintetizzabili.
Innanzitutto, nessuna analogia sussiste tra la maternità surrogata e l’istituto dell’adozione, in quanto sul punto, già la sentenza n. 11 del 10/02/1981 della Corte Costituzionale, ha chiarito che "la riforma del 1967 ha spostato il centro di gravità dell'adozione dall'interesse dell'adottante (di sopperire alla propria incapacità procreativa ed assicurarsi una discendenza anche a fini ereditari, n.d.r.) a quello dell'adottato (……), interesse del minore ad essere allevato ed educato in condizioni più vantaggiose, (….) ciò in quanto gli articoli 2 e 30 della Costituzione, che riconoscono come fine preminente lo svolgimento della personalità e l’educazione del minore nel luogo a ciò più idoneo, individuano tale sede "in primissima istanza nella famiglia di origine, e, soltanto in caso di incapacità di questa, in una famiglia sostitutiva".
La maternità surrogata, quindi non è una modalità (ulteriore rispetto all’adozione) per ottemperare al legittimo desiderio procreativo di una coppia priva di figli, per l’evidente ragione che l’adozione presuppone l’esistenza in vita del minore adottabile e il suo bisogno di tutela - e, quindi, non prioritariamente il desiderio della coppia sterile - mentre la maternità surrogata inverte tale ordine di interessi (cioè vede prevalere l’interesse alla procreazione della coppia su quello del minore).
In secondo luogo, la Costituzione non riconosce un «vero e proprio diritto alla procreazione», quale presupposto per l’ammissibilità di tali contratti: nel nostro ordinamento non trova spazio il concetto di paternità o di maternità meramente negoziali, disgiunte, cioè, da un qualche fondamento biologico e governate dall’autonomia privata, tali da cancellare dal mondo giuridico i legami naturali.
Tuttavia, come ha fatto notare autorevole dottrina (Cian – Trabucchi, Commentario breve al codice civile - 2003) "Poiché il diritto di procreare è un diritto fondamentale dell’individuo soggetto al contemperamento con altri diritti fondamentali della persona (quali sono i diritti del nascituro e del minore), nel caso della procreazione artificiale esso deve trovare contemperamento con il diritto del nascituro ad avere due genitori e ad essere istruito, mantenuto ed educato da entrambi i genitori; per tale ragione, solo le coppie eterosessuali, legalmente coniugate o stabilmente conviventi costituiscono soggetti legittimati alla procreazione medicalmente assistita".
Altro ostacolo insormontabile è costituito proprio dal riconoscimento dello status di madre esclusivamente per colei che partorisce il minore (artt. 232 e 269 c.c.), sul presupposto di un’evidenza naturale che rende superflua qualsiasi necessità di spiegazione.
Uno degli argomenti certamente a sostegno dell’inammissibilità del contratto di maternità surrogata è l’indisponibilità del bene oggetto di accordo ex articolo 5 codice civile ("Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume"). La contrarietà del contratto di maternità surrogata all’ordinamento giuridico si evince dal fatto che l’atto dispositivo del proprio corpo è comunque contrario alla legge (in quanto realizza una transazione prima non contemplata dalla legislazione, oggi vietata, operando in frode della stessa ed aggirando anche altre leggi, come quella sull’adozione), all’ordine pubblico (con il quale mal si accorda) ed, almeno in caso di onerosità, anche al buon costume, secondo il quale, infatti, un atto di maternità surrogata potrebbe eventualmente realizzarsi soltanto a titolo gratuito (in base ad un movente altruistico) e non dietro un pagamento in denaro.
Quindi, non possono formare oggetto di un atto di autonomia privata, perché non sono beni in senso giuridico, le parti del corpo umano (gameti ed organi della riproduzione), sulle quali il soggetto non è titolare di un diritto patrimoniale non potendoli affittare né alienare in quanto l’uso strumentale può diminuire la loro funzione e perché beni indisponibili). La dottrina prevalente è fondamentalmente d’accordo nell’escludere che il materiale riproduttivo possa essere equiparato ad un bene economico, proprio in considerazione delle peculiarità biologiche legate alla riproduzione di altri essere viventi: il lettore comprenderà immediatamente la differenza tra donare un rene e donare il seme o gli ovuli!
Ultima argomentazione che ostacola la stipulazione di contratti di maternità surrogata è costituita dall’indisponibilità degli status personali, quali quello di figlio e quello di madre (chi partorisce non può spogliarsi del suo status di madre né modificare quello del figlio), i munera, come la potestà dei genitori (oggi "responsabilità genitoriale"), ed i diritti personali dei minori all’educazione ed al mantenimento nella famiglia iure sanguinis.
Poco esplorato dalla dottrina è invece il cosiddetto diritto del nascituro a conoscere le proprie origini, specie in considerazione del fatto che è aumentato il numero delle persone coinvolte nel processo procreativo, non necessariamente tre (donna sterile della coppia eterosessuale più madre surrogante che è anche madre biologica), grazie all’intervento dei "donatori" di materiale procreativo, diversi anche dai genitori committenti e dalla madre surrogante. Può inoltre trattarsi di coppie eterosessuali sposate e non, uomini e donne (eterosessuali e omosessuali) che non intendono intraprendere relazioni sentimentali, coppie omosessuali, fino al fenomeno del coinvolgimento di persone addirittura legate da vincolo di parentela e consanguineità (si pensi alla nonna che partorì il proprio nipote). L’argomento è stato affrontato dalla sentenza n. 278 del 2013, con cui la Corte costituzionale risolve la delicata questione del bilanciamento tra il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini e il diritto della madre a rimanere anonima.
Ha stabilito la Corte che «il relativo bisogno di conoscenza (delle proprie origini, n.d.r.) rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale». Per superare la rigida contrapposizione tra i due interessi (della donna che partorisce in anonimato a non essere rintracciata e del figlio a conoscere l’identità della propria madre biologica), la Corte introduce la distinzione tra "genitorialità giuridica" e "genitorialità naturale" e osserva che "una rinuncia irreversibile alla genitorialità giuridica non può ragionevolmente implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla genitorialità naturale".
È ormai ampiamente sostenuto, da uno dei settori più avanzati della riflessione femminista, che i problemi etici connessi al tema della nascita non possono essere affrontati attraverso la contrapposizione fra gli interessi della donna e quelli (confliggenti) del nascituro. In questa nuova prospettiva, è fuorviante tentare ad esempio di mostrare che la donna è l’unico individuo che conta e che il nascituro non è un individuo degno di considerazione.
Se il diritto di conoscere le proprie origini è ampiamente riconosciuto nell’ambito di vicende particolarmente dolorose e drammatiche, quale la scelta di partorire in anonimato pur di non optare per l’interruzione volontaria della gravidanza, non si comprende perché il predetto diritto dovrebbe essere violato in caso di maternità surrogata.
L’elenco dei diritti del nascituro inevitabilmente in conflitto con quelli degli individui che esercitano il loro, preteso, diritto di procreare non finisce qui: dal diritto del bambino alla bigenitorialità (negato quando alla maternità surrogata accedono singoli che non intendono intraprendere relazioni sentimentali), al diritto del bambino di essere allevato da un padre e da una madre (negato quando alla maternità surrogata accedono coppie omosessuali).
Sul punto il dibattito è acceso. Da parte nostra ci limitiamo ad osservare che le fonti di diritto nazionale ed internazionale (Dichiarazione ONU dei diritti del fanciullo, legge sull’adozione dei minori, tutela dei figli in caso di separazione e divorzio, norme del codice civile italiano) riconoscono il diritto, nella misura del possibile, a conoscere i propri genitori, il diritto di crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori, il diritto a non essere separato dalla madre se non per circostanze eccezionali, il diritto a conservare la propria identità e le relazioni familiari.
In buona sostanza, il fanciullo ha il prioritario, inalienabile ed assoluto diritto di essere allevato all’interno della propria famiglia iure sanguinis, che presuppone il modello eterosessuale madre/padre, cioè coloro che lo hanno generato (salvo casi di inadeguatezza della famiglia di origine).
Anticipando l’eventuale (e francamente misera dal punto di vista dialettico e intellettuale) obiezione secondo la quale esistono bambini orfani di una o di entrambe le figure genitoriali, così come figli cresciuti da uno dei due genitori separati o divorziati, si obietta mestamente che da una parte l’esistenza di situazioni drammatiche e dolorose non possono e non devono essere prese a modello di riferimento dal legislatore per creane altre e, dall’altra, che tanto il bambino orfano quanto quello che ha subito la separazione dei propri genitori sono individui già nati, o già concepiti, al momento della tragedia che li ha privati di un genitore.
Appare invece lapalissiano che, nel caso di figli da maternità surrogata, si programma la nascita di esseri umani ai quali manca uno dei genitori non per incidente, fatalità, abbandono, ma solo perché da qualche parte, in qualche Stato, il materiale procreativo è una vera e propria merce di scambio e il cosiddetto diritto di procreare degli adulti è ritenuto prevalente rispetto al diritto dei minori di avere un padre e una madre e di conoscere la propria identità (anche) biologica.
Giovanna Arminio


La surrogazione di maternità come problema bio-giuridico

La civiltà contemporanea si trova ad un crocevia, punto di incontro di quattro dimensioni: da un lato il progresso tecnico; da un altro lato l’idea che il diritto debba legalizzare le nuove esigenze sociali e le istanze individuali; da un terzo lato la rivendicazione del cosiddetto "diritto al figlio"; infine, che il bene e il male dipendono dalla pura prospettiva soggettiva.
La maternità surrogata, più comunemente detta "utero in affitto", da ora MS, costituisce il frutto più evoluto dell’incontro di tutte le suddette prospettive.
In questa sede si prenderanno in considerazione le problematiche biogiuridiche del presunto diritto al figlio che si rivendica tramite l’accesso alle tecniche di MS e delle conseguenze che dalle suddette tecniche scaturiscono, soprattutto la commercializzazione, o meglio, la industrializzazione della procreazione umana.
«Si parla di un diritto di procreare o di un diritto al figlio; del diritto di nascere e del diritto di non nascere; del diritto di nascere sano e del diritto di avere una famiglia composta da due genitori di sesso diverso, del diritto all'unicità e del diritto ad un patrimonio genetico non manipolato. Andando avanti ci si imbatte nel diritto a conoscere la propria origine biologica e nel diritto all'integrità fisica e psichica, nel diritto di sapere e non sapere; nel diritto alla salute e alla cura, e nel diritto alla malattia o nel diritto a non essere perfetto, con i quali si vuole sottolineare l'inaccettabilità di parametri di normalità, l'illegittimità di discriminazioni o di stigmatizzazione legate alle condizioni fisiche o psichiche »: su "La Repubblica" del 26 ottobre 2004 Stefano Rodotà così descriveva l’avvento dei nuovi diritti.
Ciò che più preme in questa sede è comprendere almeno due di questi nuovi diritti che sono strettamente implicati con la pratica bio-medica della maternità surrogata, cioè il cosiddetto "diritto al figlio" da un lato, e dall’altro il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche.
Occorre, dunque, distinguere l’imponderabilità del diritto al figlio da un lato e la necessità della tutela del diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche dall’altro.
Per quanto riguarda la configurabilità del diritto al figlio, se essa fosse davvero possibile, significherebbe introdurre delle gravissime distorsioni nel tessuto del diritto per almeno due ordini di ragioni.
In primo luogo: ritenere esistente un tale diritto dovrebbe comportare l’individuazione o l’individuabilità dei soggetti nei cui confronti un tale diritto possa essere fatto valere: il coniuge, la società, lo Stato? Verso chi si dovrebbe reclamare un tale diritto? E con quali mezzi? Anche coercitivi?
In secondo luogo: se tale diritto fosse davvero ipotizzabile, il suo contenuto, ovvero il suo oggetto, sarebbe il figlio stesso, violandone lo status giuridico di soggetto di diritto, in quanto persona, e non di oggetto di diritti.
Proprio la rivendicazione del diritto al figlio, comportando la lesione della dignità del figlio medesimo, considerato quale oggetto invece che soggetto di diritto, implicherebbe quindi l’automatica ed inderogabile violazione dei diritti del figlio.
Per quanto riguarda il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche, occorre fin da subito precisare che esso si può configurare solo in quanto le procedure di procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata implichino uno scudo in questo senso.
Si pensi, del resto, alle numerose associazioni dei cosiddetti "figli della provetta" che si stanno costituendo ovunque nel mondo per la conoscenza delle proprie "radici" come, tra le decine di esempi possibili, insegna il caso di Stephanie Raeymaekers.
Sul punto è opportuno distinguere la segretezza dall’anonimato. La segretezza riguarda l'occultamento delle tecniche utilizzate per la fecondazione, mentre l’anonimato consiste nel celare l’identità di coloro che hanno preso parte al processo di generazione del nuovo nato (per esempio i "donatori"/venditori di gameti, la madre surrogante ecc.).
Posta una tale differenza, il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche è sicuramente esperibile per superare l’anonimato, ma più problematico in riferimento alla dimensione della segretezza, date le ripercussioni che si possono registrare nell’ambito delle relazioni familiari; è tuttavia necessario ammettere che, da un punto di vista logico, scavalcare l’anonimato presuppone necessariamente abbattere anche il muro della segretezza.
Su questo delicato problema, afferente alla procreazione medicalmente assistita ed alla maternità surrogata, ha avuto modo di esprimersi il Comitato Nazionale per la Bioetica con un parere del 25 novembre 2011 intitolato, appunto, "Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa".
In questa sede il CNB evidenzia quanto segue: «Occorre notare che eludere la richiesta di conoscere la verità implica una specifica forma di violenza: la violenza di chi, conoscendo la verità che concerne un’altra persona e potendo comunicargliela, si rifiuta di farlo, mantenendo nei suoi confronti un’indebita posizione di potere. Ulteriore rilievo ha questa argomentazione quando questo soggetto sia lo Stato: si deve ricordare il tema, individuato da Kant, del principio supremo del diritto pubblico, che non può che essere quello della pubblicità, dell’abolizione degli arcana imperii in qualsiasi forma. Lo Stato non ha il diritto e non dovrebbe mai avere il potere di precludere l’accesso alla verità non solo ai propri cittadini, ma a qualsiasi essere umano, in particolare quando questa verità ha per oggetto l’identità personale».
Infine, una considerazione deve essere effettuata anche circa il problema dello status giuridico del nato, cioè della sua relazione giuridica con chi lo ha generato.
Si possono scegliere in questo caso due vie: la strada del favor legis, cioè rimettere alla legge la decisione di chi debba essere considerato genitore, indipendentemente da eventuali legami affettivi, biologici, genetici con il figlio; oppure la strada del favor veritatis, cioè seguire i criteri biologici per la determinazione dei rapporti giuridici tra il generato e i genitori.
La distinzione può essere più netta nel caso del "donatore" di sperma, ma diventa più sottile e di difficoltoso chiarimento nel caso della maternità surrogata, visto il legame comunque biologico, sebbene non necessariamente genetico, che lega la madre surrogante e il feto per i lunghi mesi della gravidanza.
Se il criterio del favor legis appare con tutta evidenza arbitrario, lasciando propendere la coscienza di chi si interroga sul punto per il favor veritatis, sembra quanto mai opportuno considerare che anche il criterio del favor veritatis diventa arbitrario ove si considerasse soltanto la madre gestante e non anche quella genetica.
Esplode, insomma, in tutta la sua tragicità la contraddittorietà etica e giuridica della maternità surrogata che rendendo diffuso, duplicando e perfino moltiplicando il ruolo materno, dilacera l’identità della madre e dunque strappa il tessuto relazionale del diritto, divenendo non già fonte di giustizia, ma di ingiustizia e, come tale, palesandosi come prassi bio-medica congenitamente anti-giuridica.
In conclusione, si possono accogliere le parole di Martin Rhonheimer il quale nota:«La procreazione artificiale è in questo senso una modalità d’azione ingiusta, e cioè non a motivo della sua artificiosità, bensì a causa dell’abuso dell’arte medica, abuso che possiede una componente prometeica».
Aldo Rocco Vitale


La surrogazione di maternità come business internazionale eugenetico

Su "Il Fatto Quotidiano" del 23 gennaio 2013 è stato pubblicato un articolo sul mercato della maternità surrogata che, nella sola India, produce un fatturato di ben 2,3 miliardi di dollari.
Il suddetto servizio giornalistico non è che uno degli ultimi a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su una pratica bio-medica quale è quella della maternità surrogata (MS) che oramai ha assunto, nel suo continuo sviluppo nell’ultimo ventennio, la dimensione di una vera e propria industria a livello globale.
Bisogna partire dall’inizio per comprendere le cifre e la loro evoluzione.
In primo luogo, esiste un vero e proprio mercato delle cellule riproduttive, cioè dei gameti, ovvero sperma e ovuli.
Sul punto gli studi sono numerosi, ma su tutti spiccano quelli di Rene Almeling e Debora Spar; la prima si è occupata del mercato di gameti, la seconda di quello della maternità surrogata.
Si scopre così che la maggior parte dei cosiddetti "donatori" di gameti si presta all’operazione in virtù del previsto compenso economico.
E se nel 1986 l’industria della fertilità fatturava, soltanto negli Stati Uniti, circa 41 milioni di dollari, appena qualche anno dopo, nel 2002, si era già arrivati a circa 3 miliardi di dollari.
Secondo il Wall Street Journal, nel 2000, il solo mercato mondiale di sperma valeva circa 100 milioni di dollari.
Nel 2004, i contratti di surrogazione di maternità negli Stati Uniti prevedevano un compenso oscillante tra i 30.000 e i 120.000 dollari.
Nel 2007, secondo le rilevazioni dell’epoca, negli Stati Uniti un migliaio di donne ogni settimana ricorreva alla PMA e oltre undicimila donne ogni anno partorivano bambini a seguito di forme tecnologiche di fecondazione assistita, inserendosi nell’industria riproduttiva americana, che quell'anno fatturava già circa 2 miliardi di dollari.
Inoltre, è sempre presente la deriva eugenetica che rende possibile, anche con sfumature utopistiche e ben poco scientifiche, scegliere il seme di premi nobel e atleti olimpici da utilizzare per la gravidanza surrogata, come ricorda Michael Sandel nel suo volume "Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica".
Il più completo studio sul mercato riproduttivo, legato specialmente alla MS, in India è stato compiuto dal Centre for Social Research (CSR) il quale ha ufficializzato alcune cifre.
Secondo le stime effettuate, la maggior parte delle donne indiane che si prestano come madri surroganti sono giovani ragazze, sposate, tra i 26 e i 30 anni, hanno un livello basso o primario di istruzione, sono in maggioranza di religione induista, decidono di fare da madre surrogante per motivi economici e spendono il ricavato che viene loro offerto dai committenti per il mantenimento della propria famiglia, l’educazione dei propri figli, la costruzione o ricostruzione delle proprie case o come risparmi per il futuro matrimonio delle proprie figlie, nate in precedenza.
Il CSR, inoltre, rivela come un rapporto della Confederazione dell’Industria Indiana abbia stimato, per l’anno 2012, che l’industria della MS abbia fatturato 2,3 miliardi di dollari.
Sempre il CSR, nel suo voluminoso studio ricognitivo, nota che, mentre una madre surrogante negli USA viene pagata tra 20.000 e 25.000 dollari, in India, invece, una madre surrogante è pagata tra 4.500 e 5.000 dollari, in quanto il turismo riproduttivo è più sviluppato rendendo più bassi i prezzi a causa della concorrenza, anche secondo quanto rilevato dal prestigioso "The Economist".
Lo scenario, il fatturato e le cifre sono destinate ad ampliarsi per almeno due fattori principali: la crescente infertilità delle coppie occidentali dipendente da vari fattori tra cui il più importante è l’età più avanzata delle prime gravidanze; l’ingresso nel mercato riproduttivo delle coppie omosessuali che, dopo il riconoscimento legale della loro unione un po’ dovunque nel mondo, stanno cominciando a rivendicare il diritto a procreare, ricorrendo proprio alla combinazione di procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata come, tra le migliaia di casi, insegna quello del celebre cantante Elton John.
Il tutto accade in violazione di norme e principi etici e giuridici.
Il suddetto sistema della compravendita riproduttiva è, infatti, chiaramente in contrasto con le Carte internazionali che vietano di trarre profitto economico dal corpo umano e dalle sue parti, come sanciscono, per esempio, l’art. 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e sulla biomedicina del 1997 e l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000.
Infine, si dimentica che in una tale dimensione l’essere umano, sia chi mette a disposizione i gameti (spermatozoi e ovuli), sia la madre gestante, sia soprattutto il bambino, è sostanzialmente reificato, cioè "cosificato", ovvero reso oggetto e mezzo per la soddisfazione di desideri altrui.
Come ha notato una donna, laica e femminista, del calibro di Miriam Mafai, «stiamo entrando nel grande circuito della mercificazione della gravidanza con tutti i cambiamenti giuridici, etici e psicologici che da questo possono derivare. Avremo tra breve anche noi come in America degli album tra cui scegliere le nostre incubatrici umane. Chi di noi non vorrà portare in grembo il suo bambino potrà, pagando, depositare il suo embrione altrove e tornare a riprenderlo dopo nove mesi. Si rompe così definitivamente un legame naturale, unico, nutrito di sangue e di sogni tra la madre e quello che una volta si chiamava "il frutto del ventre tuo" […]. Non tutto ciò che è possibile allo scienziato può essere considerato lecito».
Si è dimenticata, in sostanza, la inderogabile lezione di illuminismo di Immanuel Kant per il quale, appunto, ciò che come l’essere umano ha una dignità, non può avere un prezzo: «Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può anche essere sostituito da qualcos’altro, equivalente; invece, ciò che non ha alcun prezzo, né quindi consente alcun equivalente, ha una dignità».
Aldo Rocco Vitale 

I trattati internazionali sulla protezione dell’infanzia e la maternità surrogata, altruistica e non.

Nell’ambito della cosiddetta maternità surrogata, pratica di mercificazione dei nuovi nati ormai tristemente diffusa in molti paesi occidentali, sta montando un movimento di protesta legato ad associazioni di femministe, che denunciano con forza lo sfruttamento di donne poco abbienti e disposte ad affittare il proprio utero, sottoponendosi a condizioni di controllo sul proprio corpo e sul “prodotto” che portano in grembo, decisamente inaccettabili.
La commercializzazione del corpo delle donne e dei bambini è ormai diventato un vero e proprio business, nemmeno tanto nascosto, i cui siti di carattere commerciale (con tanto di listino prezzi) possono essere facilmente reperibili su internet.
La denuncia unanime di tali associazioni riguarda però, nella maggior parte dei casi, la violazione dei diritti umani e della dignità delle donne, trattate alla stregua di schiave e costrette, causa la loro bassa condizione economica, a sottoporsi ad una gravidanza per soddisfare il desiderio di maternità di ricchi occidentali, in cambio di cospicue somme di denaro, in genere gestite da società, ormai trasformate in multinazionali.
Questo movimento di opposizione è di cruciale importanza e sicuramente interessante in quanto, per la prima volta, un mondo ampio si oppone in maniera decisa a tale aberrante pratica di sfruttamento e compravendita.
In Italia, Fiorella Mannoia si è recentemente espressa con un “tweet” che ha avuto un’ampia risonanza, criticando aspramente la maternità surrogata commerciale.
Tuttavia la cantante, oltre alla sacrosanta indignazione, offriva una personale apertura all'accettazione della pratica della surrogazione: la possibilità, sottoposta a rigorosi controlli delle autorità competenti, della cosiddetta maternità surrogata altruistica, cioè legata ad un sincero desiderio di aiutare coppie, etero o gay poco importa, impossibilitate ad avere figli anche tramite tecniche di fecondazione eterologa.
In tal modo, la dignità della donna verrebbe, a suo dire, valorizzata tramite un atto di autodeterminazione, che ricorda, e non a caso, la stessa autodeterminazione usata in caso di aborto, visto come un diritto fondamentale e mai negato dalle femministe di tutto il mondo, Mannoia compresa.
Infatti, se l’utero appartiene alla donna che può decidere legittimamente di eliminare il frutto del concepimento, il ragionamento per cui tale frutto si possa regalare in maniera altruistica è assolutamente coerente con una visione dell’essere umano, nelle prime fasi della sua vita, visto come oggetto e non come soggetto di diritti.
In altre parole, ciò che andrebbe evitato è solo lo sfruttamento commerciale della pratica di maternità surrogata, al fine di salvaguardare la salute psicofisica delle donne, ma una donazione di bambini fatta in nome dell’altruismo sarebbe assolutamente benvenuta.
Veramente sconcertante, in tutto ciò, è la completa mancanza di voci critiche che mettano in discussione il presunto diritto umano di poter disporre della vita dei nuovi nati come “oggetti” da regalo, seppur donati con lodevoli intenzioni (accompagnate, ovviamente, da cospicui rimborsi economici).
Il “diritto” d’aborto si scontra inevitabilmente con il diritto alla vita del nascituro, diritto tutelato dalla nostra costituzione e dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tuttavia, il considerare il non nato una “non-persona” che acquisirebbe i diritti solo dalla nascita in poi, permette l’ipocrita e tragica coesistenza, nelle società occidentali, del diritto d’aborto delle donne con il diritto alla vita dei bambini.
Nel caso della maternità surrogata altruistica, il bambino viene fatto nascere dalla gestante surrogata al fine di essere ceduto ai richiedenti previo accordo fra le due parti, non di natura economica e quindi sotto forma di "donazione".
Essendo nato, però, il bambino acquisisce i diritti riconosciuti, dalle molteplici dichiarazioni e trattati internazionali, a tutti gli esseri umani ad a lui in particolare che pertanto dovrebbero essere difesi e tutelati proprio da tali dichiarazioni e trattati.
I principi generali e i diritti ivi contenuti, e riconosciuti a livello internazionale, proteggono il bambino da potenziali sfruttamenti di qualunque genere, e soprattutto riconoscono in lui la natura di soggetto di diritto e dovrebbero prevalere su ogni altro diritto, anche assoluto in virtù della natura di soggetto debole dell'infante rispetto agli adulti.
Il principio sesto della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, adottata il 20 novembre 1959, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, recita: "Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre".
L’articolo 7 della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia indica invece che Il fanciullo “è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi”
L’articolo 8, comma 2: “Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile”.
L'art. 18, 1 comma: “Gli Stati parti si devono adoperare al massimo per garantire il riconoscimento del principio secondo cui entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento ed allo sviluppo del bambino. La responsabilità di allevare il fanciullo e di garantire il suo sviluppo incombe in primo luogo sui genitori o, all’occorrenza, sui tutori. Nell’assolvimento del loro compito essi debbono venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo”;
E ancora, l'art. 21: “Gli Stati parti che riconoscono e/o autorizzano il sistema dell’adozione devono accertarsi che l’interesse superiore del fanciullo costituisca la principale preoccupazione in materia… D) adottano ogni adeguata misura per vigilare affinché, in caso di adozione all'estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili”.
Infine, il più importante di tutti, l'art. 35: "Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma".
E fondamentale, per quanto misconosciuto, appare il disposto dei Protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti la vendita di bambini, la prostituzione e la pornografia coinvolgenti l'infanzia, nonché il lor coinvolgimento nei conflitti armati (adottati a New York, il 6 settembre 2000, ratificati in Italia con L. 11 marzo 2002, n. 46), che nei suoi primi articoli recita: "Articolo primo - Gli Stati Parte vietano la vendita di bambini, la prostituzione di bambini e la pornografia con bambini, in conformità alle norme del presente Protocollo.  Articolo 2 - Ai fini del presente Protocollo: a) per vendita di bambini, s'intende qualsiasi atto o transazione che comporta il trasferimento di un bambino, di qualsiasi persona o gruppo di persone ad altra persona o ad altro gruppo dietro compenso o qualsiasi altro vantaggio".
È importante notare come, a partire dalla Convenzione, la "vendita" sia considerata a sé stante, e vietata, indipendentemente dalla finalità per cui avviene e dalla "forma" che assume giuridicamente, anche se poi, nei Protocolli, viene auspicato che sia prevista come reato esclusivamente se compiuta con le finalità specifiche elencate più oltre all'art. 3, che contempla le ipotesi dello sfruttamento sessuale, dell'uso degli organi e del lavoro minorile, nonché l'indebito consenso all'adozione internazionale.
È inoltre fondamentale evidenziare come venga considerata "vendita" anche la dazione a fronte di qualunque tipo di "vantaggio", che può anche non essere economico, o consistere in un mero "rimborso spese".
Purtroppo l'ipotesi della cessione totalmente a titolo gratuito non è contemplata e questa è una enorme falla nel sistema, anche rispetto alle successive ipotesi contenute nei protocolli, perché indebolisce anche la tutela contro la prostituzione e la pornografia.
La prima domanda da farsi è dunque questa: la surrogazione è una "vendita" di bambini, ai sensi della Convenzione di N.Y., o può essere assimilata ad essa?
La risposta sta nel cuore di chi se la pone, ma anche nei fatti: se si accantona per un attimo il discutibile diritto alla genitorialità (che peraltro non varrebbe a legittimare la cessione di un essere umano, esattamente come non potrebbero farlo il diritto il libero scambio di merci o il diritto di proprietà, laddove sia violato il diritto del bambino, da considerarsi preminente su ogni altro) e si osservano i fatti, si può concludere che la maternità attuata attraverso l'utero in affitto è una vera e propria cessione del neonato.
Infatti, non può in alcun modo essere considerata una cura per l'infertilità, in quanto, pur se questa derivi da una patologia (e questo non è ad esempio il caso delle coppie omosessuali, dove è naturale e non patologica), la nascita di un bambino attraverso la pratica dell'utero in affitto non avviene grazie alla terapia, perché non provoca la guarigione del soggetto patologicamente non fertile. Esattamente come non lo è la fecondazione artificiale, seppure venga spacciata per tale.
Chi sostiene la surrogazione, peraltro si guarda bene dal parlare di cessione di bambini, riferendosi in tal modo esclusivamente a quella che viene chiamata con un eufemismo "donazione" di gameti benché sia il più delle volte una vera e propria compravendita.
Ma nel momento in cui i gameti di incontrano, essi non sono più distinti e creano qualcosa di totalmente nuovo, che dalla cellula iniziale, attraverso l’embrione, porta alla creazione di una creatura viva e vitale, cosicché, già molto prima del momento della nascita, non esistono più l’ovulo e gli spermatozoi in ipotesi acquistati, sui quali si potrebbe, forse, discutere circa la liceità o meno della compravendita.
Ciò che è oggetto di scambio, nella realtà, è una vita umana perfettamente formata frutto del grembo che lo ha nutrito.
La nascita di un bambino tramite maternità surrogata, dunque, altro non è che la creazione di un essere umano allo scopo di affidarlo ad una o due persone, nessuna delle quali lo ha portato in grembo per i nove mesi di gestazione e di cui, almeno una, se non addirittura entrambe, geneticamente non è suo genitore.
Ergo, più che di utero in affitto, si dovrebbe parlare di cessione di neonato, considerato che la nascita del bambino non avviene all'interno della coppia che dovrebbe assumerne la responsabilità genitoriale.
Le legislazioni che consentono la surrogazione e che attribuiscono ex lege la maternità alla cosiddetta "madre sociale", cioè alla futura affidataria del nascituro, pongono quindi in essere una finzione giuridica che si scontra clamorosamente con la realtà dei fatti, visti dalla parte del bambino: per il neonato la mamma è colei che lo ha portato in grembo, della quale conosce e riconosce la voce, il battito cardiaco, l'odore e dalla quale ha ricevuto protezione e nutrimento per i nove mesi precedenti, indipendentemente dal legame genetico con la stessa. Negare questo significa negare la realtà.
E poiché "per vendita di bambini, s'intende qualsiasi atto … che comporta il trasferimento di un bambino … dietro compenso o qualsiasi altro vantaggio", possiamo ritenere che, alla luce dei Protocolli, la surrogazione, anche quando effettuata sotto forma di donazione, ricada a pieno titolo all'interno della definizione di cui all'art. l'art. 35 della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, laddove vieta "il rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma".
Si tratta infatti, senza dubbio, di una vendita mascherata da una "forma" che la rende non immediatamente visibile, anche se non sia stabilito un prezzo, ma vi sia solo un rimborso spese (che costituisce comunque un "vantaggio" economico).
Inoltre, il divieto si estende qualunque sia il fine, come già evidenziato, perciò nemmeno il preteso diritto alla genitorialità può legalizzare una violazione dell'art. 35.
E ci si può spingere ancora oltre: poiché il "qualsiasi altro vantaggio" previsto dai protocolli non dev'essere di natura economica per essere giuridicamente rilevante, possiamo arrivare a sostenere che, non solo l'esistenza di un rimborso spese, ma anche la semplice soddisfazione personale della gestante cedente per aver contribuito alla nascita del bambino a favore di estranei possa essere sufficiente ad integrare gli estremi della vendita.
La logica conseguenza di quanto sopra affermato è che ogni ipotesi di maternità surrogata, indipendentemente dalle modalità con cui avviene e dalla previsione di un prezzo per la stessa, è sussumibile nell'ipotesi della vendita del bambino, pure se venga agita ai fini pietistici ed altruistici.
Che i figli non possano essere oggetto di compravendita e nemmeno di “donazione” altruistica dovrebbe essere dunque un principio palese e da tutti unanimemente riconosciuto.
Chi di noi “donerebbe” in maniera altruistica il proprio figlio di 5 anni?
Invece, stranamente, si vorrebbe che l’infante nei primissimi giorni di vita sia considerato un bene che può entrare a far parte di un accordo privato preventivo, o successivo, fra due parti.
Tanto è vero che le legislazioni che disciplinano la maternità surrogata (come negli Stati Uniti), in generale, stabiliscono che la "portatrice" possa rinunciare, ancor prima del parto, ai propri diritti a favore degli aspiranti genitori. Altre nazioni, come l'Inghilterra, ancorano invece la surrogazione all'adozione, vietando i patti preventivi, attuando una fictio iuris che vìola comunque i principi surrichiamati.
Ciò che non viene considerato in alcun modo, in tutte le legislazioni che consentono la surrogazione, è il diritto del nascituro ad essere tutelato nei confronti di una cessione che lo trasforma in un oggetto, snaturando la sua umanità e privandolo dei suoi diritti.
Che differenza c'è tra la compravendita di bambini già nati, ceduti agli aspiranti genitori dietro compenso (che può addirittura essere considerata reato) e la surrogazione altruistica?
Nei fatti in entrambe le ipotesi un bambino viene trasferito a chi non lo ha concepito, né lo ha portato in grembo.
In entrambe le ipotesi il bambino viene ceduto per rispondere al "desiderio" o al "bisogno" di divenire genitori di persone sterili, che non possono concepire naturalmente un figlio proprio e non sono disposti, o non sono adatti, ad adottare un orfano.
No, non vi è alcuna differenza di fondo tra la surrogazione altruistica e la vendita di un neonato ad estranei: il bambino è privato allo stesso modo della sua umanità e dei diritti che da essa derivano.
Ferdinando Costantino, Monica Boccardi


La maternità surrogata in Europa e nel mondo.
Paese
Divieto assoluto
Divieto maternità surrogata commerciale
Divieto maternità surrogata altruistica
Disciplina
Austria
Si


Vietata la donazione di ovuli
Belgio
No
Si
No, ma non c’è alcuna legge specifica
Il trasferimento della genitorialità legale richiede l’adozione.
Bulgaria
Si



Cipro
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Repubblica Ceca
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Danimarca
No
Si

Nessuna legge specifica per la maternità surrogata
Estonia
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Finlandia




Francia
Si



Germania
Si



Grecia
No
Si
Restrizioni

Irlanda
No
Si
Nessuna legge specifica

Il trasferimento della genitorialità legale richiede l’adozione.
I tribunali stanno concedendo ai genitori genetici intenzionali di citati come genitori legali all’atto della registrazione della nascita.
Italia
Si



Lettonia
No
Si
Nessuna legge specifica

Lituania
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Lussemburgo
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Malta
Si



Paesi Bassi
No
Si

I genitori legali diventano tali a seguito di adozione
Polonia
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Portogallo
Si



Regno Unito
No
Si
No. La madre surrogata non può ricevere più soldi più di quelli ritenute come "spese ragionevoli". Gli aspiranti genitori non possono pagare la maternità surrogata in sé, cioè la madre surrogata non può guadagnare soldi dalla transazione.
La genitorialità legale si trasferisce solo dopo la nascita tramite adozione e nel momento in cui viene avanzata la richiesta di almeno uno dei due genitori deve avere il domicilio nel Regno Unito.
La richiesta di adozione deve essere realizzata entro i 6 mesi che seguono la nascita del bambino.
La gestante non può dare il suo consenso al trasferimento della genitorialità fino ad almeno 6 settimane dopo la nascita.
Romania
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Slovacchia
No
No

Nessuna legge specifica sulla maternità surrogata
Slovenia
No
No


Spagna
Si


I contratti prenatali sulla gestazione e la prole sono considerati nulli, per cui i nascituri sono legalmente figli dei genitori biologici.
Svezia



Nessuna legge specifica per gli accordi di maternità surrogata.
Per il trasferimento della genitorialità è necessaria l’adozione
Ungheria
No
Si
Nessuna legge specifica

Stati Uniti (negli stati in cui è consentito)
Agenzie specializzate si occupano di seguire tutto il percorso compresa la redazione dei contratti. E’ previsto un rimborso spese per la madre surrogata che può rinunciare, ancor prima del parto, ai propri diritti a favore degli aspiranti genitori. Sulla base della rinuncia viene rilasciato il certificato di nascita su cui risultano come genitori quelli biologici (o uno dei due). Questo viene tradotto e munito di una certificazione che convalida l’autenticità di un documento pubblico per l’uso internazionale per la successiva trascrizione nel paese dei genitori biologici.
Russia
La maternità surrogata, incluso quella commerciale, è legale ed accessibile praticamente a tutti i maggiorenni che desiderano diventare genitori.
Le agenzie seguono tutta la procedura medica. Alla madre surrogata viene conferito un rimborso spese. Le donatrici di ovuli devono preferibilmente essere diverse dalla surrogata.
La rinuncia ai diritti di madre da parte della portatrice può avvenire solo dopo il parto.
La trasmissione del certificato di nascita allo Stato civile è compito dell’ambasciata o consolato del paese dei genitori biologici.
La madre surrogata deve dare il suo consenso affinché il nascituro venga registrato. Non è necessaria l’adozione. Il nome della madre surrogata, comunque, non compare mai nel certificato di nascita.
Non è obbligatorio che il bambino abbia un vincolo genetico con almeno uno dei genitori richiedenti.
Possono accedervi persone single o coppie di fatto eterosessuali.
Gli stranieri godono degli stessi diritti sulla riproduzione assistita dei russi. Entro i tre giorni successivi al parto, la coppia committente riceve il certificato di nascita russo, nel quale i due risultano come padre e madre.
Ucraina
La maternità surrogata, inclusa quella commerciale, è pienamente legale.
In seguito alla nascita del bambino, la coppia ottiene il certificato ucraino di nascita, nel quale i due risultano il padre e la madre. Nei casi in cui si è fatto ricorso ad una donazione, non assume alcuna importanza la relazione genetica "incompleta" con il nascituro. Il paese, inoltre, è una delle mete più gettonate per le coppie italiane che decidono di ricorrere alla surrogazione di maternità, dati i suoi costi piuttosto accessibili, rispetto a quelli americani.
India
La maternità surrogata, inclusa quella commerciale, è pienamente legale. Tuttavia, dal luglio 2013 è proibito nel paese ricorrere alla maternità surrogata per coppie omosessuali, single stranieri e coppie provenienti da paesi in cui questa pratica non è permessa.
Thailandia
Possono ricorrere alla maternità surrogata le coppie composte da almeno un thailandese e sposate da almeno tre anni. Le madri surrogata devono avere più di 25 anni, essere sposate, avere almeno già un figlio e sottoporsi alla surrogazione con il consenso del marito. E’ vietata la maternità surrogata commerciale. Gli stranieri che pagano donne thailandesi per portare avanti gravidanze surrogate rischiano fino a 10 anni di carcere. E’ vietato anche l’uso di intermediari e qualunque tipo di pubblicità e promozione a favore di questa pratica.

  Giovanna Arminio


La surrogazione come cessione di neonati: aspetti giuridici ed etici.

In Italia la maternità surrogata è una pratica illegale, anche se effettuata a titolo gratuito, ed è prevista come reato dalla L. 40/2004. Non è però punibile se effettuata all'estero, anche da italiani.
Fino ad oggi, i nostri Pubblici Ministeri hanno incriminato per il reato di alterazione di stato (cioè per aver dichiarato all'anagrafe la nascita di un figlio proprio non partorito dalla donna stessa), le coppie che vi avevano fatto ricorso all'estero, registrando come figli della coppia i bambini nati a mezzo di surrogazione in paesi dove è legalizzata e disciplinata.
Di recente però alcuni Tribunali hanno assolto dal reato alcune di queste, sostenendo (in estrema sintesi) che la legalizzazione della filiazione surrogata effettuata dallo stato straniero secondo la propria legge, impedisce il perfezionamento del reato.
In questo articolo non si intende commentare tali decisioni sotto un profilo strettamente giuridico, ma fornire alcuni strumenti per comprendere che si tratta di aperture che legalizzano la violazione dei diritti fondamentali dei neonati coinvolti.
Cerchiamo quindi di chiarire qualche concetto giuridico che permetta di comprendere come la cessione di un essere vivente non possa essere ammessa nemmeno a titolo gratuito.
In primo luogo, teniamo in considerazione il fatto che, alla nascita, il bambino non è una res nullius (cosa che non appartiene a nessuno), ma un essere umano e aggiungiamo che, per la legge italiana, è figlio della donna che lo partorisce, indipendentemente dall'origine genetica del gamete da cui è stato concepito.
Lo riafferma chiaramente il provvedimento del Tribunale Roma 20/08/2014, che applica le norme sulla filiazione alla diatriba tra le coppie vittime dello scambio di embrioni fecondati in vitro: "la maternità naturale è ancora oggi legata al fatto storico del parto".
Quindi il bambino che nasce è, per la legge italiana, figlio di chi lo ha partorito e non, come si pone nel caso di surrogazione, di chi ha fornito parte del patrimonio genetico
All'estero non sempre è così: laddove la surrogazione è permessa, la disciplina varia, dalla fictio iuris di considerare il neonato figlio dei committenti, alla finzione di adozione da parte dei committenti stessi a seguito di rinuncia alla maternità (preventiva o successiva al parto) da parte della puerpera.
In ogni caso, ciò che materialmente accade è questo: una donna partorisce un bambino, dopo averlo portato in grembo per nove mesi, nutrendolo, proteggendolo, facendolo crescere e trasformando una cellula in un essere umano perfetto e vivo, e poi lo cede ad altri che avevano "ordinato" il bebè, allo scopo di avere un figlio che la natura impediva loro di concepire.
Il fatto che l’ovulo fecondato nella maggioranza dei casi non appartenga alla donna che porta avanti la gestazione non elimina lo status di madre di questa donna.
Il che, evidentemente, ripropone vigorosamente la necessità di riaffermare, una volta per tutte, la validità giuridica, filosofica, antropologica, morale e logica, del concetto di "naturalità" nei fatti che caratterizzano la società.
Purtroppo, laddove la maternità surrogata è permessa, non è così e si è proceduto alla creazione o alla modifica ad hoc della legge, al fine di consentire la finzione della filiazione sganciata dal parto.
Nel nostro paese vi sono istanze, affinché la maternità surrogata venga legalizzata, correlandone la possibilità alla gratuità della stessa, trasformando la dazione dei gameti in "donazione" (non lasciamoci trarre in inganno, chi mette a disposizione sperma e ovuli non lo fa gratis, ma come minimo pretende almeno un "rimborso spese") e l'affitto di utero in comodato gratuito, anche in questo caso a fronte di un mero rimborso spese.
Ma nella realtà dei fatti, ciò che viene "donato" non è il gamete, ma il bambino, perché l'utero non è concesso in uso ad altri: la donna che partorisce il bimbo è la sua proprietaria ed il neonato, anche se non avrà il suo patrimonio genetico, sarà stato cresciuto, nutrito e partorito da lei, non da altri.
Per quanto si possa mascherare la cosa, cambiando nomi o usando eufemismi, ciò che accade in caso di maternità surrogata è dunque una vera e propria cessione di neonato dalla madre a terzi.
È dunque lecito regalare un bambino? O peggio ancora farlo entrare in accordi di tipo commerciale sotto pagamento concordato?
Tornando alla definizione giuridica da dare alla surrogazione gratuita, l'art 769 c.c. definisce la "donazione" come il "contratto col quale per spirito di liberalità una parte arricchisce l'altra disponendo a favore di questa di un suo diritto".
Per la legge italiana, dunque, escluso che possa farsi rientrare la maternità surrogata nell'ambito dell'adozione, dovrebbe parlarsi di donazione di neonato. Ma se la donazione è un contratto, ad essa si applicano necessariamente le norme sui contratti.
Cosicché, in ipotesi, alla cessione del neonato dovrebbero applicarsi gli artt. 771, 810, 1346, 1418.
I quali prevedono che "La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi" (art. 771 c.c.); "Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti" (art. 810 c.c.); "L'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile" (art. 1346 c.c.), "Producono nullità del contratto … la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'art. 1346 c.c.".
Non sembra vi sia bisogno di spiegare altro: la donazione del frutto di una maternità surrogata appare del tutto contra legem, oltre che immorale.
Infatti, perché possa ritenersi valida una donazione siffatta, sarebbe necessario trasformare il neonato da soggetto di diritto, quale è in quanto essere umano, oltre che ai sensi di ogni legislazione sovranazionale, ad oggetto di diritti, privandolo in tal modo della sua natura di persona viva e, per di più, particolarmente meritevole di tutela.
Invece, appare evidente che l’oggetto del contratto (che sia compravendita o donazione, poco importa), cioè la cessione di un bambino appositamente fatto nascere per darlo alla coppia che lo ha "ordinato", è impossibile, sotto questo aspetto, in quanto il neonato, oggetto del contratto, non è, per legge, un bene in senso giuridico e non può formare l'oggetto di diritti altrui.
Non sarebbe, dunque, nemmeno necessario vietare qualunque accordo che includa l’essere umano in quanto oggetto di scambio.
Le persone che non possono, per malattia, per inclinazione sessuale, o per scelta, avere figli propri, soffriranno per questa limitazione? Indubbiamente sì, esattamente come hanno sofferto le centinaia di migliaia di persone che, nei secoli, hanno desiderato un figlio e non hanno ricevuto tale dono.
Ma non si può nemmeno pensare che i bambini fatti nascere con la tecnica della surrogazione, scambiati per denaro (che sia chiamato prezzo o rimborso spese, poco importa) o, peggio ancora, "regalati", non debbano soffrire per essere stati trattati come oggetti del preteso diritto di avere figli, una volta che vengano a sapere come hanno avuto l'avventura di nascere, perché tale pratica è disumanizzante nei loro confronti e non c'è dichiarazione d'amore che possa lenire la ferita di chi si senta oggetto di un contratto, stipulato esclusivamente per l'egoismo di chi lo ha voluto.
                                                                                                                      
Monica Boccardi


Dalla favola alla realtà

"In America c'è un posto dove delle signore gentili donano i loro ovini per chi non ne ha." ("Perchè hai due papà" di Francesca Pardi Ed. Lo Stampatello).
Jennifer Lahal, fondatrice e presidente del "The Center for Bioethics and Culture Network" ha un passato di venticinque anni di esperienza come infermiera pediatrica in terapia intensiva, seguiti da una carriera come amministratore ospedaliero e come senior-level nursing management.
Scrive su riviste di forte spessore culturale ed appare spesso nelle più importanti radio ed emittenti televisive americane quale esperta accanto a membri e legislatori della comunità scientifica. Ha anche presenziato al Parlamento europeo di Bruxelles per parlare del commercio legato al traffico di ovuli. Nel 2010 debutta come sceneggiatore e regista con il film documentario "Eggsploitation" ("sfruttamento di ovuli"), vincitore del Premio California Independent film festival del 2011, presentato in più di trenta paesi tra cui l'Italia in occasione del Meeting di Rimini nell'agosto 2012.
Il documentario, proiettato in moltissime università degli Stati Uniti, suscita grande clamore ed eco nonché forti reazioni dell'industria che, con voli pindarici, ha cercato di smentire quanto emerso, per salvaguardare interessi miliardari, andando anche contro le pubblicazioni scientifiche riportate perché il mercato di ovociti rappresenta uno dei più grandi business nel mondo.
La Gran Bretagna, dal 1990, ha legalizzato la fecondazione eterologa e, con il passare degli anni, ha apportato enormi cambiamenti alle modalità che regolamentano la materia, fino a permettere che le "donazioni" di fatto possano essere retribuite e, addirittura, che i trattamenti possano essere inseriti all'interno di una lotteria.
La Fertilisation and Embriology ha giustificato ciò considerando "gli inconvenienti, l'impegno ed il tempo speso da una donatrice nel processo necessario alla produzione di ovuli".
Nel 2012 la legge inglese ha triplicato il compenso per le "donatrici", non più 250 sterline ma un "risarcimento" di 750 sterline. A darne notizia il quotidiano inglese Daily Mail del 18 luglio 2012, che giustificava l'incremento del numero delle "donatrici" con l'aumento dei compensi nel clima generale di recessione economica.
Il boom di "donazioni" ha azzerato le liste d'attesa per le coppie richiedenti del Bridgewater Hospital di Manchester. L'osservatorio inglese per le tecniche riproduttive umane in tale occasione aveva preso le distanze dal dato americano che dimostrava la correlazione allarmante tra l'incremento dei compensi e lo sfruttamento di donne giovanissime economicamente disperate.
Unica voce controcorrente quella di Geeta Nargund, direttrice della clinica Create Fertility di Londra, la quale aveva criticato aspramente questa decisione dichiarandola inaccettabile, in considerazione dei rischi molto alti per la salute delle "donatrici". Infatti migliaia di studentesse dell'università di Cambridge erano state prese di mira da una società dello Yorkshire, la cui politica si fondava sul fatto che, se non poteva essere ammessa la compravendita, era invece lecito il risarcimento.
Mentre in occidente triplicano i compensi per le "donatrici" in oriente esplode il mercato low cost alimentato soprattutto da coppie omosessuali.
L'osservatorio internazionale BioEdge, tramite il suo portale, in un sondaggio chiese per iscritto ad una serie di cliniche indiane quanto l'equiparazione del matrimonio omosessuale a quello naturale avesse incrementato il fenomeno della maternità surrogata. La risposta dei responsabili confermava la correlazione, segnalando un aumento tra le donne dei ceti più poveri nei paesi in via di sviluppo. Nel giugno precedente tale incremento era già balzato alle cronache per la morte di una di loro Premila Vaghela, morta all'età di 30 anni, una delle tante, come sottolineava il quotidiano The Guardian.
 Dopo vari trattamenti ormonali, Premila era deceduta non riuscendo a concludere la gravidanza prima di partorire.
L'India fattura ogni anno più di due milardi di dollari. Si parla di venticinquemila nascite di bambini da fecondazione surrogata, metà dei quali destinati a coppie occidentali. Le madri surrogate, sottoposte a infiniti cicli ormonali, che le distruggono sia fisicamente sia psicologicamente, vengono nella maggior parte dei casi fatte partorire con taglio cesareo, al solo fine di far coincidere il parto con l'arrivo della coppia adottiva.
Entriamo ora nel vivo del documentario. Una voce domanda alle donne che vogliono un figlio a tutti i costi se sia giusto farlo sulla vita di altre donne.
Annunci martellanti per la "donazione" di ovociti raggiungono ovunque le giovani studentesse americane, "la pubblicità te la mandano anche sulla pagina fb" affermano alcune di esse, altre dichiarano di essersi imbattute in questi annunci negli autobus, per strada, all'università.
Guardando quell'annuncio chi lo legge esclamerà "Sono davvero un sacco di soldi", mentre si vede la cifra di 100 mila dollari apparire su una inserzione. Un’altra inserzione recita "Se sei alta, attraente e magra … ed hai il desiderio di aiutare qualcuno", "fai la differenza dona i tuoi ovuli". Cosi le ragazze non iniziano solo per denaro ma anche per il messaggio filantropico che si cela dietro a questa propaganda, autoconvincendosi che ciò sia doveroso nei confronti di quelle donne meno fortunate.
Hanno un nome quei volti segnati da un destino che ha lasciato tracce indelebili nelle loro vite. Belle, giovani, di ottima istruzione le protagoniste coraggiose che hanno avuto la forza di svelare e denunciare quanto si cela dietro a quel mondo sommerso, loro non sono che la punta di un iceberg.
Premettiamo che queste ragazze non sono state sottoposte ad alcun esame preventivo per accertarne, qualora vi fossero state, eventuali patologie preesistenti costituenti un elevato rischio per la loro salute, se non addirittura per la stessa vita. Viene nella maggior parte dei casi recapitato loro a domicilio un kit con istruzioni dettagliate alle quali si devono attenere scrupolosamente. I contatti iniziali si tengono tramite internet o telefonicamente.
Sindy racconta di avere trovato una inserzione sul giornalino dell'università per reclutare donne che avessero ricevuto una educazione eccellente e che avessero certe caratteristiche per poter "donare" ovuli. Cercò allora di informarsi su eventuali controindicazioni, ma non riuscì a trovare nessuno studio medico. Dopo la stimolazione venne sottoposta a risonanza e poiché questa evidenziava follicoli immaturi le dissero che qualcosa non aveva funzionato e che doveva assolutamente continuare la cura. Finalmente arrivò l'atteso intervento di aspirazione degli ovuli.
Cindy tornò a casa, le venne detto di stare a riposo, ma nonostante ciò iniziò ad avere dolori lancinanti al punto che non riusciva a stare in piedi, il dolore si fece cosi forte che non riusciva nemmeno a respirare. Si recò quindi in clinica dove, dopo una risonanza magnetica, venne dimessa.
Le fu detto che era tutto normale, che si trattava solo di dolori mestruali. La compagnia assicurativa dell'agenzia di donazione di ovuli la contattava, nel frattempo, solo per accertarsi che la sua assicurazione medica coprisse da eventuali complicanze. A casa il dolore però non abbandonava Sindy che era costretta nuovamente ad un ricovero urgente.
 Questa volta le venne diagnosticata una forte emorragia interna. L'iperstimolazione le aveva assottigliato i vasi sanguigni che, in seguito al prelievo degli ovuli, si erano lesionati, provocando cosi una forte emorragia che la costrinse a diverse trasfusioni di sangue.
Alexandra voleva finire il dottorato, ma le mancavano i soldi. Le offrirono 3 mila dollari, proprio la cifra che le sarebbe servita per terminare i suoi studi. Essendo ricercatrice all'università ed avendo accesso agli archivi scientifici, Alexandra cercò testi e letteratura sui rischi legati a questa pratica ma non ne trovò.
 Cominciò quindi il trattamento e, dopo solo 9 giorni, iniziò a sentirsi male al punto che svenne dal dolore. Un amico la portò in clinica, le somministrarono antidolorifici per poi dimetterla. Dopo due settimane di dolori ed una intera notte di vomito fecale ininterrotto, il medico accettò di visitarla, e questa era la prima volta in cui lei vedeva personalmente il medico. L'addome era pieno di sangue, il medico impallidì e disse di conoscere il problema.
 Le ovaie si erano attorcigliate alle tube, avrebbe provato a salvarle. Non fu possibile e le ovaie vennero asportate. Solo dopo 20 giorni e tre visite, l'insistenza di Alexandra le ha salvato la vita. Ma il dramma non era ancora finito, infatti un blocco intestinale la costrinse ad un nuovo intervento, con la conseguente perdita di peso di 12 chili e mesi di convalescenza. Dopo cinque anni, sebbene non ne abbia familiarità, sviluppa un tumore al seno a seguito del quale deve subire cinque interventi chirurgici e cicli di chemioterapia.
Kella prende contatti via internet con l'infermiera che le spedisce il kit di medicine con le quali deve autogestirsi. Il primo farmaco che deve assumere, il Lupron, blocca il ciclo mestruale. Kella non sa però di avere un piccolo tumore benigno al cervello. Il tumore sotto l'effetto del farmaco ingrossa, lei inizia a non stare bene ma le dicono che deve continuare. Aumentano i suoi malesseri fino ad un giorno in cui un ictus le paralizza la parte sinistra del corpo.
Jessica, 29 anni, ha venduto per tre volte i suoi ovuli, immediatamente dopo ha sviluppato un carcinoma all'intestino e a 34 anni è morta.
L'Industria della fecondazione, spiega il documentario, fattura 6 miliardi e mezzo di dollari l'anno. Opera senza sorveglianza né regole. I casi di queste donne non vengono intenzionalmente monitorati, quindi non vi sono numeri complessivi.
L'unico dato noto è che il 70% dei cicli di stimolazione ovarica fallisce. I rischi sono: cancro al seno, all'ovaio ed all'endometrio. Inoltre infertilità, emorragie, ictus, infarti e paralisi. ("Assessing the medical risks of humane oocyte donation. From stem cell research", L. Giudice, E. Santa and R. Pool eds, Washington, D.c., National academies of science, 2007.)
Un caso analogo a questi, è quello di Jennifer Billock, narrato in una intervista rilasciata alla famosa rivista Marie Claire. Preoccupata per i debiti contratti all'università e convinta che questo procedimento non debba essere cosi faticoso, si reca in una clinica dove consegna allo staff le sue foto da inserire nel catalogo dei "donatori".
Essendo pagata profumatamente e non avendo inizialmente grossi problemi Jennifer decide di rifarlo e con il tempo ne diventa dipendente. Addirittura i medici le dicono che è sufficiente far trascorrere tra un ciclo e l'altro una sola settimana.
 Cosi inizia il suo calvario. Le iniezioni che prima percepiva come pizzichi ora sono dolorosissime. Il liquido ha l'effetto dell'alcool sulle ferite aperte. Il medico le dice di continuare, le dice che anche ipotizzando una reazione allergica la cosa non è poi cosi forte, e le fa i complimenti, gli ovuli sono davvero molti, mai visti cosi tanti.
Ma durante la fase di estrazione i medici lasciano una ferita che rimane aperta, provocandole dolori insopportabili. Dopo essere stata più volte visitata scopre che grosse cisti si erano formate su quella che ormai era una spessa cicatrice e che il dolore insopportabile era stato causato da una di queste cisti, che era esplosa. La scelta, anche in questo caso, è radicale e le nega la possibilità futura di una maternità.
Queste ragazze hanno costretto il loro corpo a produrre numeri elevatissimi di ovociti: se si pensa che il numero massimo di ovociti prodotti normalmente in un mese non supera i due, si può capire a quale violenza abbiano sottoposto il loro corpo.
È inaccettabile che un vero e proprio commercio (i cui ricavi sono miliardari nel mondo) di organi venga mascherato dal più vile filantropismo che usa vite umane con l'illusione di costruire la felicità altrui.
Maria Teresa Armanetti


Un viaggio virtuale nel sogno della maternità: il "miracolo" della surrogazione su internet.

Un mondo in cui i bambini vengono ordinati su misura e fatti crescere da donne che affittano il loro utero, scegliendo accuratamente il sesso, la provenienza etnica, il colore della pelle ed altri attributi fisici non era stato immaginato nemmeno dalla fervida mente di scrittori visionari come Huxley, Orwell o Asimov.
Eppure tale mondo non è fantascientifico, ma tremendamente reale e, ciò che è peggio, tacitamente accettato da una fetta sempre più grande dell’opinione pubblica tramite un lento lavoro di condizionamento mentale, voluto delle grandi industrie della medicina riproduttiva e sapientemente portato avanti dai mezzi di comunicazione, che ha reso normale e anzi meritorio ciò che pochi anni fa sarebbe stato considerato una pura follia di stampo eugenetico.
Come siamo arrivati a tutto ciò esula dallo scopo di questo breve articolo, che invece vuole introdurre il lettore nel magico mondo delle opportunità di accedere alla maternità surrogata, reperibili su internet, che fornirebbero la chiave della felicità a chi desidera avere un figlio, ma ne è impossibilitato perché sterile o, più frequentemente, perché unito a persona del medesimo sesso.
Aprendo una finestra Google e digitando "clinica utero affitto surrogata" l'elenco che appare supera i settemilacinquecento risultati:
Scegliendone uno, si accede facilmente a una clinica specializzata in medicina che s’impegna a "prenderci cura di voi, in modo che possiate realizzare il vostro sogno di avere un bambino" (http://www.uteroinaffitto.com)
Il sogno di avere un bambino ha un costo e passa prima da normali cure per l’infertilità, poi a pratiche di fecondazione eterologa, arrivando infine ai pacchetti di surrogazione "all inclusive" che assicurano il successo di avere un "bimbo in braccio", allo stesso modo in cui un concessionario offre una vettura "chiavi in mano".

Il pacchetto "all inclusive" di maternità surrogata si può facilmente acquistare a una somma vicina ai 30.000 euro e i dettagli si possono consultare nel comodo PDF allegato. Il lettore può reperire ciò che serve per avviare le pratiche. Il successo è assicurato, il rimborso in caso di fallimento anche, e vengono offerte le opportune garanzie all’acquirente sulla bontà del prodotto scelto.
Ovviamente, essendo la pratica della surrogazione ancora vietata in Italia da quello che resta della legge 40, la clinica ha sede in Ucraina, ma poiché si rivolge anche ad utenti italiani, ha almeno un ufficio in Italia, come si evince dalla presenza sul sito di due numeri di telefono italiani (anche se il prefisso di Roma è mascherato dall'aggiunta del numero successivo, quello internazionale parla chiaro, anzi… italiano).
La legge Cirinnà, se approvata, provvederà a dare lo status di genitori biologici a coloro che torneranno in Italia con il prodotto acquistato presso tale clinica.
Andiamo avanti con il nostro magico viaggio. Se digitiamo "surrogacy" su Google, il motore di ricerca trova oltre un milione di siti, non tutti ovviamente relativi a cliniche, e ci indirizza a vere e proprie multinazionali che gestiscono le più importanti cliniche di surrogazione sparse nei paesi in cui la pratica è permessa.
Ad esempio, il sito "Circle surrogacy " (http://www.circlesurrogacy.com/) corrisponde ad un’agenzia di surrogazione con sede a Boston, che gestisce cliniche di medicina riproduttiva, principalmente nel sud degli Stati Uniti. Il sito è estremamente efficiente e ci offre le dichiarazioni e i curricula dei membri del consiglio direttivo.
Il presidente dell’agenzia, tale John Weltman è un avvocato con un curriculum di tutto rispetto (studi a Oxford, Yale e Harvard) e padre di due bambini ottenuti tramite maternità surrogata. La sua mission dichiarata è quella di proteggere i diritti delle persone LGBT che desiderano soddisfare il desiderio di genitorialità.
"Circle Surrogacy is the leading surrogacy agency in the United States for gay couples and individuals. John Weltman, Circle’s President, Founder and gay parent through surrogacy, has been helping LGBT couples and individuals from around the WORLD become parents since 1995."
Lo slogan che offre nella home page è "Miracles can be expected through surrogacy",  che può essere tradotto così: "Attraverso la surrogazione si possono ottenere miracoli".
È interessante notare come le parole "miracolo" e "sogno", risuonino in maniera ossessiva in questi siti.
Ma andiamo al dunque: il servizio di surrogazione ha dei costi stimati che il sito fornisce con encomiabile trasparenza.
Se si è residenti negli Stati Uniti e si desidera richiedere una gestante surrogante e una "donatrice" di ovuli il sito fornisce tutti i costi stimati
Con 90.000 dollari, che includono spese legali, assistenza sanitaria alla madre gestante, prezzo degli ovuli acquistati e contributi per i dipendenti delle cliniche, si porta a casa il bimbo.
Al netto delle ritenute la madre gestante riceve 30.000 dollari. Non stiamo evidentemente parlando di maternità surrogata altruistica.
Se si apre la finestra relativa al database delle cosiddette "donatrici di ovuli" si scopre che "We're here to help you find the right match. Some intended parents choose donors based primarily on physical attributes or one who shares their ethnic, religious, or cultural backgrounds. While other intended parents hope to find an egg donor who is healthy and athletic or has musical or artistic talent. Whatever attributes you're looking for, you can search our list of hundreds of available egg donors below. Filter by characteristics that meet your preferences. If you can't find an egg donor in our database that interests you, we can help expand your search during the consultation, which is the first step in moving forward with your journey."
Che tradotto vuol dire "Siamo qui per aiutarvi a trovare il giusto abbinamento. Alcuni aspiranti genitori scelgono donatori basandosi principalmente su attributi fisici, oppure in base alle loro origini etniche, religiose, o culturali. Mentre altri aspiranti genitori sperano di trovare una donatrice di ovuli che sia sana e atletica o abbia talento musicale, o artistico. Qualunque siano gli attributi che stai cercando, è possibile trovarli nella nostra lista di centinaia di donatrici di ovuli disponibili in basso. Filtra per le caratteristiche che soddisfino le tue preferenze. Se non riesci a trovare nel nostro database una donatrice di ovuli che ti interessa, possiamo contribuire a espandere la ricerca durante la consultazione, che è il primo passo per andare avanti con il vostro viaggio"
Non è forse questa la selezione eugenetica di un prodotto scelto su misura? Chiunque sia ancora dotato di un minimo di buon senso può farsi una chiara idea al riguardo.
A proposito di miracoli, il sito "Miracle surrogacy" (http://www.miraclesurrogacy.com/) offre servizi di maternità surrogata in Messico e Nepal.
Anche in questo caso un cospicuo pacchetto è offerto ai potenziali acquirenti come sotto mostrato.
Il "baby at home" dell’ultimo riquadro ricorda il "bimbo in braccio" della prima agenzia sopra riportata, a testimonianza che le strategie di marketing sono decise con inquietante coordinazione e probabilmente a livello internazionale.
Per 95.000 dollari si possono provare tentativi illimitati, fino alla nascita del bimbo, a cui sono associate altrettante "donazioni" di ovuli. Anche in questo caso, una cifra cospicua è prevista per il rimborso spese della madre surrogante.
Il gruppo è gestito dall’associazione CEFAM (creating families) che riporta le nascite di più di 1.500 bambini in Messico negli ultimi 20 anni.
"Surrogacy India" (http://www.surrogacyindia.com/) è un’analoga agenzia, che si occupa di maternità surrogata nel paese asiatico.
Il team di SI fornisce trattamenti contro l’infertilità, occupandosi principalmente di "ovodonazione " e maternità surrogata (strani trattamenti, si direbbe).
Il costo dei servizi è simile a quello dell’agenzia americana sopracitata ed è consultabile da chiunque voglia farsi una più chiara idea, ma qui è interessante vedere le testimonianze riportate, di alcune madri surroganti, che sono facilmente reperibili nel menu a finestra.
Per convenienza del lettore sono state sottolineate alcune frasi importanti:
"I have fulfilled my dream of having my own house which I would have never ever fulfilled if I would not have done this." ("Ho potuto realizzare il sogno di avere una mia casa propria, che non avrei mai avuto se non avessi fatto questo") dice Zarina riferendosi al suo utero affittato.
Anju dice più o meno la stessa cosa: "I enrolled my kids in English medium school. If I would not have been a surrogate mother, I could have never ever done this." ("Ho iscritto i miei figli alla scuola Inglese. Se non fossi stata una madre surrogate non lo avrei mai potuto fare").
Per finire, Mahesar ci dice "Sono molto felice di poter far nascere un bambino surrogato e di poterlo dare ai suoi genitori biologici." Non è dato sapere come mai la signora ritenga di non avere alcun legame biologico con il bambino che ha gestato per 9 mesi. E non è dato sapere quale dei genitori biologici manchi all’appello nei vari tasselli che hanno portato alla generazione del figlio.
Queste testimonianze dovrebbero far struggere di commozione le anime gentili che si sciolgono in lacrime davanti a cotanta generosità, ma in realtà, una più attenta analisi rivela come queste donne siano rese oggetto di un vero e proprio ricatto, sottoponendo il proprio corpo a un ignobile sfruttamento, reso possibile dalle loro basse condizioni economiche.
Ovviamente, testimonianze di ben altro tenore, che sicuramente esistono, sono accuratamente celate.
Questi pochi esempi rappresentano solo una goccia nel mare di quello che si può trovare su internet oggi, se si cercano cliniche per la surrogazione a cui rivolgersi.
Un traffico di affari difficilmente stimabile (ma ammontante, come minimo, a diversi miliardi di dollari, se solo negli Stati Uniti fattura ormai oltre i 2 miliardi), è permesso, in barba a qualsiasi trattato di protezione dei minori e dei diritti umani, gestito da agenzie rivestite di propositi umanitari, ma in realtà portate avanti da veri e propri managers di multinazionali, che hanno il semplice e solo scopo di raggiungere il maggior profitto possibile.
La parola "miracolo", che troviamo frequentemente in tutti questi siti, si riferisce al fatto che miracolosamente un bimbo possa nascere da due uomini o due donne. Questo furbescamente sottintendono i signori che gestiscono tutta la faccenda!
No. Non è un miracolo, ma pura compravendita di esseri umani, al fine di ottenere enormi profitti sulla pelle di bambini, che vengono orribilmente trattati come merce e, come tali posono essere rifiutati o rispediti al mittente se non soddisfano le pretese di chi acquista.
Come siamo arrivati a tutto ciò? Difficile dirlo, ma la battaglia per evitare che tale traffico aumenti e metta basi legali anche nel nostro paese passa attraverso una campagna di sensibilizzazione e presa di coscienza che raggiunga tutto il pianeta con ogni media disponibile.
Ferdinando Costantino, Monica Boccardi


LISTA DI ALCUNI SITI

Educare: cantico della differenza:
La fondamentale complementarietà educativa del padre e della madre

Molte delle coppie che ricorrono alla pratica della maternità surrogata sono coppie omosessuali maschili, le quali con tutta evidenza non sono in grado di generare figli e si illudono di poterlo fare con il supporto della tecnica e l'acquisto di un gamete femminile unito all'affitto di un utero.
In questi casi, i bambini che nascono e vengono affidati a queste coppie, oltre a subire il fatto di essere stati fabbricati e compravenduti, vengono privati di una delle due figure genitoriali di sesso distinto, la mamma.
La stessa cosa, mutatis mutandis, avviene quando una coppia lesbica ottiene un figlio attraverso la fecondazione artificiale di una delle due componenti.
Una delle più usate giustificazioni alle critiche sollevate a questa imposizione, diffusa ormai un po' ovunque, è l'affermazione che, per essere una famiglia e perché un bambino possa crescere armoniosamente, basta che ci sia l’amore, indipendentemente dal fatto che la coppia genitoriale sia composta da un uomo e da una donna o da individui dello stesso sesso. L’amore è una componente fondamentale nei rapporti fra le persone e, ovviamente, lo è per la crescita di un individuo, ma purtroppo non è sufficiente.
La maternità surrogata, oltre a rendere il bambino oggetto di compravendita, lo priva, nelle primissime fasi della sua esistenza, di quel dualismo essenziale alla sua crescita derivato delle figure paterna e materna.
Perché un bambino o un adolescente possano formare la loro psiche e riuscire ad interiorizzare la loro identità devono, infatti, poter ricevere quel tipo di cura e affetto che si crea nella continuità della generazione, che è da un uomo e da una donna; occorre, quindi che l’amore sia differenziato. Ciò vuol dire che l’amore in quanto tale è condizione solo marginale nella crescita armoniosa del bambino.
Scriveva Lacroix in "In principio la differenza" (op. cit. p.71): "Amare non consiste soltanto nel provare affetto ma piuttosto sostenere attivamente le condizioni oggettive della crescita (…) che implicano spazi, funzione e differenza. La famiglia non si limita a costruire relazioni affettive, ma è una struttura. E le sue differenze primordiali intorno a cui si articolano sempre le strutture elementari dell’essere genitori, sono ravvisabili nella differenza dei sessi e nella differenza fra generazioni".
L'importanza della differenziazione sessuale nella formazione si può dedurre dall’etimologia del termine stesso educazione. Il lemma indica l'atto e l'effetto del verbo "educare", che significa "alimentare, allevare, nutrire, curare e istruire", a sua volta derivato dal latino "educere".
Educere ("ex ducere") si può tradurre come "estrarre, far uscire, condurre al largo, trarre alla luce, generare, allevare, innalzare".
La duplicità e la complementarietà di significati del termine latino è evidente e permette di assimilare immediatamente queste diverse sfumature all'aspetto più materno e femminile dell'educare, come l'accoglienza e il nutrimento, e a quello più paterno e maschile del far uscire, condurre a largo e innalzare: caratteristiche comportamentali differenti nell'approccio ai figli, che sono presenti fin da subito nella storia famigliare ed educativa di un individuo.
Per meglio comprenderne la compenetrazione, analizzeremo i due ruoli seguendo una naturale cronologia partendo dal rapporto madre e bambino fino dalle prime fasi di vita intrauterina.
Grandi studiosi come Freud, padre della psicoanalisi, ma anche Mahler, Bowlby e Whinnicott, solo per citarne alcuni, sottolineano l'importanza del rapporto madre-figlio nei primissimi anni. Anche la scienza supporta queste teorie dimostrando l'interazione madre bambino già nel periodo prenatale.
Dal momento stesso della fecondazione, infatti, si determinano lo sviluppo e la crescita degli organi del bambino e dei suoi apparati sensoriali. Il primo sistema ad attivarsi è quello della sensibilità cutanea che sarà interamente formata intorno alle trentadue settimane, poi il sistema vestibolare, quello uditivo che è funzionale già al settimo mese e in ultimo quello visivo anche se, già alla settima settimana il nervo ottico e le cellule retiniche sono già presenti. Gli organi gustativi sono invece già funzionali alla quattordicesima settimana: ecco perché quando nasce il bambino ha già delle preferenze di gusto piuttosto nette.
In base a questi dati, possiamo facilmente intuire come il bimbo sia continuamente stimolato da suoni e rumori, luci, voci e odori provenienti dal corpo della madre attraverso il liquido amniotico, o dall’esterno.
Il piccolo, infatti, riconosce le voci della mamma e del papà, distingue anche diverse musiche, e dà risposte motorie differenti in base a luci intense o deboli e a sapori dolci e salati.
L'interazione con i genitori, quindi, avviene fin dai primi momenti della gravidanza. In particolar modo, il piccolo partecipa a tutte le esperienze della mamma, ricevendo attraverso la placenta e l'alterazione del battito cardiaco anche informazioni di natura emotiva e psichica. Grazie a ciò, il bimbo inizia già a formare la sua personalità nei primi mesi dal suo concepimento. Assistiamo quindi ad una continuità fra le fasi di sviluppo prenatale, perinatale e quelle successive.
È importante, a questo punto, sottolineare come sia fondamentale, per il nascituro, fin dalla vita intrauterina, ricevere attenzioni e stimoli da entrambi i genitori, i quali parlandogli amorevolmente e coccolandolo lo facciano sentire accolto, amato e desiderato ancor prima della nascita.
Purtroppo la vulgata comune rivendica il diritto alla compravendita del bambino in quanto il legame genetico è assicurato dai gameti di uno dei genitori, trascurando o ritenendo comunque trascurabile il legame biologico ed emotivo che si crea nel ventre della madre surrogata.
Dopo la nascita e in continuità con le esperienze prenatali, il bambino arriverà ad avere una identità strutturata già nei primi tre anni di vita.
La psicoanalista Margaret Mahler (1897-1985) spiega infatti come la strutturazione dell'identità avvenga attraverso un processo di individuazione/separazione che si compie nella relazione "simbiotica" con la madre. La Mahler usa il termine "simbiosi" mutuandolo dalla biologia, proprio per descrivere lo stretto legame iniziale di dipendenza reciproca fra madre e bambino, che per il piccolo si esprime con l'esplorazione del corpo della mamma attraverso il tatto, mentre per la madre è un esperienza legata strettamente alle parti più interne e viscerali di sé.
Fino ai tre anni il padre, anche se non fa parte dell'unione simbiotica della mamma col suo bimbo, è comunque un importante "oggetto d'amore". Egli essendo "fuori" rispetto al corpo del figlio, ha il compito di farlo uscire da questo legame forte con la madre.
Se, quindi, nei primi mesi di vita durante l'allattamento, il padre resta "nell'ombra", nel periodo successivo diventa un nuovo punto di riferimento per il figlio ed un polo di attrazione per la figlia: in questa dinamica il bambino matura il senso della differenza. Conseguentemente, se la figura paterna venisse a mancare per qualche ragione, il figlio potrebbe rimanere "indifferenziato", perché non riuscirebbe a staccarsi dalla madre.
Madre e padre rivestono quindi due ruoli differenti; differenza che come precedentemente sottolineato è fondamentale per l'educazione, in quanto essa è basata sull'identificazione dei figli con i genitori, e l'identificazione è fondamentale per la crescita dell'identità, infatti anche etimologicamente i due termini si rifanno alla stessa radice.
Il bambino si fa "identico" (si identifica) al genitore dello stesso sesso per costruire la sua identità che non può essere completamente assimilata se non viene confermata dal genitore del sesso opposto.
La mamma, dando al figlio la propria approvazione, lo aiuta a radicare la propria identità maschile; mentre le attenzioni che il padre dà alla figlia le danno autostima, fondando la sua femminilità e rivelando le sue caratteristiche.
Da tutto questo si evince come le differenze di ruolo fra padre e madre siano importantissime nella crescita psicologica dei figli. La presenza del padre e della madre non solo ha un peso diverso e alterno nelle varie fasi di crescita, ma i due genitori hanno anche modalità e competenze differenti: mamma e papà non giocano o si prendono cura del bimbo nello stesso modo; il papà prende maggiormente su di sé, rispetto alla madre, il ruolo di stabilire le regole e i limiti; il sapere legato alla vita sessuale nell'età puberale è legata a sesso del genitore: il papà ne parla al figlio, la mamma alla figlia; papà e mamma si rapportano differentemente con i figli a seconda che siano bambini o bambine nel gioco e nelle varie attività quotidiane e così via.
Da tutto quello riportato finora si evince che questo non può avvenire con le stesse modalità quando la coppia è formata da individui dello stesso sesso, dal momento che vengono a mancare, nella relazione con i figli, quei contribuiti insostituibili e peculiari che derivano da ciò che differenzia l'uomo dalla donna e che arricchisce il loro rapporto in modo unico, rendendoli capaci di tessere quel "cantico della differenza" che diventa l'ambiente ideale per la crescita armoniosa ed equilibrata di un nuovo essere umano.
Chiara Rastello

Bibliografia:
Etienne Roze, "Verità e splendore della differenza sessuale" ed. Cantagalli, 2014
Anna Stella Nutricati, "La psicologia prenatale e il tempo", PSYCHOFENIA- Anno XII, N.21-2009
Martina Rofi, "Lo sviluppo psicologico del bambino nel periodo prenatale"
Relazione del convegno tenuto del Dottor Paolo Ferliga "Educare in due, educare insieme, educare comunque", Genova, 2013