«Sono sconvolto. Non c'è la minima traccia di Dna italiano nella mia
figlia». E infatti quella che per 24 anni ha creduto sua figlia e ha
cresciuto come tale, è in realtà figlia di uno sconosciuto. «Hanno
scambiato il mio seme con quello di chissà chi, e ora io voglio sapere
chi è il padre di mia figlia».
È questa la storia di Josep e Jennifer Cartellone,
una coppia dell’Ohio che nel 1994 si era rivolta ad al Chris Hospital di
Cincinnati per il percorso di procreazione medicalmente assistita
tramite la quale sono diventati genitori di Rebecca. La ragazza lo
scorso Natale ha pensato di regalare ai propri genitori la possibilità
di ricostruire il proprio albero genealogico tramite Ancestry.com, un
servizio che identifica origine ed etnie di una persona analizzando la
sua composizione genetica. Ma il gioco si è trasformato in un incubo
perché in quel momento hanno realizzato che la ragazza non era
geneticamente legata al padre e facendo ulteriori esami hanno capito che
il seme con cui era stato fecondato l’ovulo di mamma Jennifer non era
di papà Joseph.
Un “errore” nel processo di fecondazione assistita
insomma, emerso 25 anni dopo. «È difficile spiegare lo shock e il
tormento quando scopri che qualcuno che ami e a cui tieni tantissimo -
tua figlia - non è geneticamente correlato a te», ha detto Joseph
Cartellone in una conferenza stampa a Washington DC. «C'è un mix di
rabbia, dolore e confusione».
I coniugi Cartellone e la figlia Rebecca si sono
immediatamente rivolti ad un avvocato per rivalersi sull’ospedale, ma il
processo non sarà affatto facile, il Christ Hospital dove è avvenuto
il processo di procreazione medicalmente assistita è stato assorbito dal
Cincinnati Institute for Reproductive Health ed è quindi
difficile identificare oggi i responsabili, ancor più difficile
rintracciare il padre biologico della ragazza. Eppure i Cartellone hanno
affermato di aver usato Ancestry.com per restringere il campo e di aver
individuato cinque persone, una delle quali era medico proprio presso
il Christ Hospital, ipotesi che aprirebbe ad uno scenario se possibile
ancora più terrificante. Inoltre Jospeh pretende di sapere se il suo
seme a sua volta abbia fecondato un altro ovulo per essere poi
impiantato nell’utero di un’altra donna, insomma vorrebbe legittimamente
sapere se potrebbe esserci in Ohio un figlio che non sa di essere suo.
L’ospedale dovrà rispondere per “violazione del contratto”
e negligenza, ma può esistere una giustizia umana capace di riparare a
quanto accaduto sulle vite di questa famiglia (e non solo)?
Sempre in conferenza stampa Joseph Cartellone ha
raccontato che ovviamente anche la moglie ovviamente è sotto shock: «I
suoi ovuli sono stati fecondati con un seme completamente sconosciuto,
inoltre Jennifer soffre per non aver potuto dare alla luce un figlio
nostro, che è esattamente la ragione per cui ci eravamo rivolti alla
clinica. Mia figlia invece si sente in colpa per aver avuto l’idea di
regalarci questo gioco e ora vuole sapere chi è suo padre».
L’ospedale, da parte sua, nega ogni coinvolgimento,
soprattutto puntando sul fatto che la struttura così come è oggi,
formalmente è nata nel 1999, avendo assorbito la struttura precedente,
cinque anni dopo quello che, in un comunicato, chiamano “presunto
errore” nonostante i risultati inequivocabili del test genetico. «Le
procedure di embriologia vengono eseguite in un laboratorio distinto
durante tutti i processi di fecondazione in vitro. I nostri medici non
sono coinvolti nella fecondazione delle uova con lo sperma, poiché
questo processo è gestito dagli embriologi nel laboratorio di
fecondazione in vitro», scrivono sul loro sito. Ma chi può garantire che
non ci siano stati altri “errori” e soprattutto, quanti sono gli
“errori” da procreazione medicalmente assistita, perché nessuno ne
parla?
Solo pochi mesi fa, come abbiamo avuto occasione di scrivere, al prestigioso CHA Fertility Center
di Los Angeles, una coppia americana è stata richiamata dai medici,
dopo un ciclo di fecondazione assistita finito male, per sottoporsi a un
esame del Dna. I coniugi hanno scoperto in questo modo che uno dei loro
embrioni, che credevano “scartato” (sic!), era stato invece impiantato
nel grembo di un’altra donna, di origini coreane, e poi partorito a
tremila miglia di distanza. Inoltre la gestante, insieme al loro figlio,
aveva dato alla luce un secondo bambino, anche questo non suo, figlio
di una terza coppia. Ora la coppia californiana, che si è affidata ad un
avvocato di grido che vive con un uomo e che è diventato legalmente
padre di una coppia di gemelli (evidentemente ottenuti tramite l’utero
in affitto), si è fatta “restituire” il bambino, dopo che il piccolo ha
trascorso nove mesi in un grembo e altrettanti con la madre gestante e
dopo una contesa in tribunale dolorosissima.
Il giudice che ha preso la decisione l’ha definita
«la più devastante ed emozionante in 25 anni di professione», ma poi ha
preso la decisione perché «il Dna è il Dna e la genetica ha una grande
importanza in ogni cosa». Verrebbe quindi da chiedersi perché sia
consentito “giocarci” fino a questo punto, perché sia consentito
padroneggiarlo pretendendo di controllarne ogni fase senza prendere in
considerazione i terribili “effetti collaterali” e soprattutto gli
“errori” che si pagano con lacrime e sangue.
Di Raffaella Frullone